Siska, 26 anni, depressa: avrà l’eutanasia, ma denuncia il sistema sanitario
I media belgi stanno raccontando la drammatica storia di una ragazza fiamminga che dalla preadolescenza accusa gravi sintomi depressivi e ha più volte tentato il suicidio. Ora che la fine a cura dello Stato si avvicina racconta una scomoda verità

Siska De Ruysscher è una bella ragazza fiamminga, ha 26 anni, compiuti il 17 ottobre. E da 13 avverte l’impulso di togliersi la vita, tanto da averci già provato più volte. Ora si sente arrivata al capolinea, non ce la fa più: ha chiesto e ottenuto di poter morire con l’eutanasia, legale in Belgio dal 2012, ed è in attesa di poter ricevere la sostanza letale con un’iniezione, a cura dello Stato, nelle prossime settimane. Ma intanto sui media del suo Paese, rilanciati da Genthique.org, racconta la sua storia. Con la speranza – dice – di una presa di coscienza collettiva e di un miglioramento dell’assistenza agli altri pazienti.
Vittima di atti di bullismo fin dall’asilo, Siska soffre di una profonda depressione dalla preadolescenza, con il primo tentativo di suicidio a 14 anni, al quale ne sono seguiti molti altri. «Il mio corpo – racconta – non ce la fa più, come la mia psiche. Sono esausta. Non riesco più a lavorare, le piccole cose della vita quotidiana, come alzarmi, vestirmi, aprire le persiane, sono ostacoli insormontabili». E dopo anni di cure dei suoi disturbi mentali, rivelatesi inutili, oggi, alla vigilia ormai della sua eutanasia, lancia un atto di accusa contro le carenze nella gestione dei disturbi psichiatrici in Belgio. Molti pazienti – è la sua protesta – devono aspettare mesi prima di poter iniziare un percorso di cura, i ricoveri di lunga durata in psichiatria presentano numerose lacune. La giovane racconta di aver dovuto convivere con altre persone affette da gravi disturbi depressivi, patologie comportamentali, tossicodipendenza, o che uscivano da centri di detenzione per minori. E spiega che i pazienti «si influenzano a vicenda, alcuni di loro prendono una cattiva strada».
A 17 anni Siska ha dovuto trascorrere alcune settimane in una cella di isolamento: non c’è personale sufficiente per garantire la sicurezza del paziente, che viene quindi messo nella condizione di non poter nuocere a sé stesso. Ma Siska ha sofferto terribilmente la solitudine proprio nel momento in cui aveva più bisogno di sostegno: «La porta era chiusa a chiave, devi aspettare che vengano a prenderti, non hanno tempo di venire a occuparsi di te». Oggi, non vedendo più alcuna via d’uscita e dopo un ultimo viaggio in India documentato dal suo profilo Instagram, quasi un addio alla vita, ha voluto ottenere l’eutanasia, ma desidera lanciare un messaggio per una migliore assistenza ai pazienti affetti da malattie psichiatriche: «A prescindere dal mio percorso, molte cose potrebbero essere diverse. La situazione «è molto difficile, soprattutto per chi mi sta vicino. Uso la poca energia che mi resta per incoraggiare gli altri a raccontare la loro storia. Spero così che il movimento prenda piede e segni l’inizio di un cambiamento».
Il dramma di Siska non è isolato: in Belgio, ma anche in Olanda e in Canada, la cronaca ha già registrato casi di eutanasia di persone depresse, persuase che la loro sofferenza sia ormai irreversibile e non più tollerabile, con i farmaci a costituire quelli che in Italia si definiscono “trattamenti di sostegno vitale”. Insieme alla maggiore età e alla capacità di intendere e volere che Siska manifesta, sono le condizioni che attualmente sono sul tavolo della discussione di una legge sul suicidio assistito in Italia. Mentre speriamo con tutto il cuore che questa storia possa avere un colpo di scena positivo, e osserviamo come per i media del Belgio quella di Siska sembri in fondo una morte come un’altra, siamo però di fronte anche a un monito per chi ha la responsabilità di stendere un sistema di regole sagge e umane per una possibile nuova norma sul “fine vita” nel nostro Paese.
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