Movimento per la Vita, una nuova profezia 50 anni dopo

Il convegno nazionale nelle Marche ricorda il primo Centro di aiuto alla Vita e apre una stagione di creatività. Due progetti Cei per rilanciare il parto in anonimato e le culle per la vita più sicure
October 6, 2025
Movimento per la Vita, una nuova profezia 50 anni dopo
Quattro giovani volontarie del Movimento per la Vita al convegno di Jesi
Si è aperto con la preghiera al Santuario della Santa Casa di Loreto e si è concluso a Jesi, nelle Marche, il 45° Convegno nazionale del Movimento per la Vita, dal 3 al 5 ottobre. Un appuntamento che ha segnato un passaggio speciale: mezzo secolo fa nasceva infatti il primo Centro di Aiuto alla Vita, intuizione profetica in un’Italia segnata dal terrorismo e dal dibattito lacerante sulla legalizzazione dell’aborto. Punto più alto di questi anni la promulgazione di Evangelium vitae, il 25 marzo 1995.
Nel messaggio inviato a firma del cardinale Pietro Parolin, Leone XIV ha espresso «vivo apprezzamento per la coraggiosa opera di questi decenni nella promozione e tutela della Vita». Era il 1975: le strade si macchiavano di sangue, la politica cercava di evitare a ogni costo il referendum radicale, eppure un piccolo gruppo di persone coraggiose decise di reagire non con proclami ma con gesti concreti. «Accesero una lampada nel buio: una mano tesa a donne sole e smarrite davanti a una gravidanza difficile» ha ricordato Marina Casini, presidente del Movimento per la Vita. Da quella scelta è scaturito un fiume di accoglienza e solidarietà, che in cinquant’anni non si è mai fermato.
Oggi i Centri di aiuto alla Vita (più di 350) sono presenti in tutta Italia, segno che quella scintilla iniziale era destinata a diventare una rete capillare di sostegno, capace di trasformare il dolore in possibilità, la paura in fiducia. Nonostante le minacce alla vita – sempre più estese, frequenti e sofisticate, sia all’inizio che nelle fasi segnate da malattia o disabilità – il Movimento per la Vita non ha ceduto alla rassegnazione. La speranza è rimasta il filo rosso che tiene unito un popolo vasto e appassionato. Il Convegno in terra marchigiana ha allora voluto guardare al futuro con più consapevolezza e fiducia. Non una celebrazione nostalgica ma un rilancio di responsabilità. Perché cinquant’anni di esperienza insegnano che solo la concretezza cambia la realtà. I volontari per la vita non si siedono placidamente sugli allori, sanno che da questa storia devono ogni giorno ripartire.
Da qui le proposte emerse: un rafforzamento della presenza culturale e mediatica per raccontare storie di vita vera; un investimento formativo sulle nuove generazioni per trasmettere passione e strumenti; un uso intelligente delle nuove tecnologie – dall’intelligenza artificiale alla comunicazione digitale – ricordando che nessun algoritmo può sostituire la forza di un abbraccio e di una testimonianza. “Libertà, carità e speranza”: queste le parole-chiave che hanno attraversato i lavori, ricordando che accompagnare la vita significa sempre rispettare la libertà delle scelte, prendersi cura fino in fondo, e soprattutto non smettere mai di annunciare la dignità infinita di ogni essere umano a partire dal riconoscimento della dignità del bambino non ancora nato, uno di noi.
Da Loreto a Jesi, il Convegno ha lasciato un messaggio chiaro: il Movimento per la Vita non è un capitolo esaurito della storia italiana ma un cantiere sempre aperto, pronto a rilanciare con più coraggio l’impegno per la vita, in ogni stagione e condizione in collaborazione con altri Paesi del mondo. Significativa la presenza di Tonio Borg, presidente della Federazione One of us, la rete europea al servizio della vita e di Jor-El Godsay, presidente di Heartbeat International, la rete americana pro-life. «Soltanto insieme si costruisce il futuro»: don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale della Salute, ha richiamato con forza la responsabilità educativa che lega genitori, comunità ecclesiale e società. «I figli li battezziamo nella fede dei genitori, ma la liturgia ricorda che il Battesimo inserisce in una comunità – ha detto Angelelli –. È un gesto che non riguarda solo la famiglia: la comunità deve esserci, tanto più nelle situazioni di fragilità, di disabilità, di difficoltà sociali».
A questa responsabilità si legano due proposte concrete su cui la Cei sta lavorando. La prima riguarda la diffusione del parto in anonimato poco conosciuto in Italia in collaborazione con la Federazione italiana delle Ostetriche «formando gli operatori sanitari al rispetto delle donne e dei protocolli che garantiscono tutela e sicurezza». La seconda è la realizzazione di nuove “culle per la vita”, sicure e controllate 24 ore su 24, grazie a un protocollo messo a punto con i Nas e con il sostegno economico di Confartigianato. Interessante, in questo quadro di rilancio, la proposta già sperimentata dal Centro di aiuto alla Vita Mangiagalli di Milano (1.500 le donne seguite ogni anno) che non si limita ad accompagnare le mamme nella scelta di accogliere la vita. “Più 18” si chiama il progetto che mira a creare percorsi di reinserimento lavorativo grazie a collaborazioni con grandi gruppi e realtà territoriali. Le donne possono così avviare tirocini in asili nido, centri commerciali o altre strutture, accompagnate da momenti di ascolto e orientamento per individuare la strada professionale più adatta. Un modello concreto di accompagnamento che integra la cura della vita nascente con la costruzione di un futuro solido per le madri e i loro figli.
«Non basta raccontare la vita, bisogna comunicare vita»: così Francesco Ognibene, caporedattore di Avvenire, al panel sul rapporto tra comunicazione e vita. Un compito tanto più urgente di fronte a quella “meschinità intellettuale”, denunciata tante volte da Pier Giorgio Liverani, che va smascherata e contrastata con onestà e intelligenza, con uno stile di ascolto e inclusività, intrecciando sempre verità e misericordia.

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