I bambini e la preghiera: che cosa si impara in Rete
Ha da poco superato il milione di iscritti il canale YouTube (bit.ly/4hOtEUR) che ospita gli spettacoli di “Juice Box”, espressamente rivolti a bambini cattolici fino ai sei anni. Li produce una società di Chicago, la Sprint Juice Studios di Rob Kaczmark, ben conosciuta nel mondo della comunicazione cattolica statunitense, così come lo è uno dei tre volti del canale, Steve Angrisano (bit.ly/42Prxev), cantante, compositore e «ministry leader» nella Chiesa, intervenuto a varie Gmg e ad altri grandi eventi ecclesiali in patria e all’estero. Gli altri due volti che compaiono stabilmente nei filmati sono quelli di Melinda Simon, anche lei proveniente dai media cattolici, e del personaggio animato Dilly. Iscriversi al canale non costa nulla, ma per gli eventuali sostenitori sono previste varie forme di contribuzione. L’idea-guida di questi video, pubblicati su YouTube settimanalmente e promossi attraverso gli altri social media, è quella di utilizzare «storie, giochi, lavoretti e altro ancora», ovvero le stesse tecniche di narrazione dei più popolari show per bambini, «per presentare argomenti basati sulla fede che i bambini possono capire e ricordare impegnandosi e divertendosi» (dall’home page del sito bit.ly/40Szvkt). Il video più cliccato (quasi 900mila visualizzazioni) è una catechesi sulla Via Crucis che corre parallela a una sua rappresentazione costruita con i Lego; numerose anche le storie di santi e gli episodi dedicati al «come pregare» e alle preghiere della tradizione cattolica. La spiritualità dei nonni e certi eccessi Ha imparato invece a pregare dalla nonna il bambino Josiah, a quanto si legge in un recente post di Cerith Gardiner per “Aleteia” (bit.ly/3CKO01S) che commenta e valorizza un video pubblicato dalla madre Stacy Robinson su TikTok (bit.ly/40WSVEN) nel 2023, quando il piccolo aveva 4 anni. La preghiera di Josiah, come scrive la stessa Gardiner, è molto enfatica, con una gestualità esagerata che evidentemente imita le forme di devozione tipiche degli anziani di questa famiglia afroamericana, e alla fine fa più sorridere di quanto non edifichi. Aggiungo che il bambino è evidentemente abituato a esibirsi in favore di telecamera, anche quando dà l’aspirapolvere; la mamma a sua volta ne posta le performance sul proprio account senza troppo preoccuparsi del suo diritto alla riservatezza. La riflessione che il post di “Aleteia” sviluppa a partire da questo filmato insiste sul valore formativo, per i bambini, della preghiera in famiglia e in particolare di quella dei nonni: «Un anziano che vive visibilmente la propria fede lascia un’impressione duratura, non attraverso le parole ma attraverso l’esempio. Quando i bambini piccoli assistono a tali momenti, specialmente all’interno dello spazio intimo della vita familiare, spesso diventa la loro prima introduzione alla spiritualità». Parole condivisibili, ma compromesse nella loro credibilità dal caso, abbastanza dubbio, preso a pretesto. L’impresa umana di alzare gli occhi al cielo All’insegnamento che ci viene dalle preghiere dei bambini Luigi Accattoli ha dedicato un articolo-post, su “Il Regno – Attualità” di novembre 2024 (bit.ly/4jPcrfn) e sul suo blog il 4 dicembre (bit.ly/4jTQ48t), molto più convincente di quello appena citato. La sua fonte non è però digitale: si tratta infatti delle invocazioni scritte lasciate dai pellegrini più piccoli nella Santa Casa di Loreto. L’autore le vede «guidate dall’intuizione che in Dio vi sia pienezza di vita e felicità completa e che a questa pienezza e completezza si possa attingere con la preghiera», e ne mette in luce qualche modello, autorevole e inconsapevole: Tommaso Moro per «Madonnina aiutami a sorridere e a far sorridere» e Teresa di Lisieux per «Caro Gesù ci vediamo in Paradiso: solo io e te». In un’ideale seconda puntata, su “Il Regno – Attualità” di dicembre 2024 (bit.ly/3CYhhWL) e sul suo blog il 9 febbraio scorso (bit.ly/41dFvWn), Accattoli analizza le preghiere lasciate a Loreto da una classe d’età che si presume maggiore, ma non troppo. Con molta acutezza, egli coglie quanto il loro linguaggio sia influenzato da quello dei social. In «Non fare scherzi: promettimi che dopo la morte ci sarai» riconosce l’«uso ludico della lingua», tipico di Facebook e affini, «anche quando la materia è seria», e in due ricorrenze dell’espressione «fare l’amore» legge la «disinvoltura di linguaggio» dei nativi digitali «in materia di sesso». Così Accattoli può concludere che, dai dolmen della preistoria, «l’ininterrotta impresa umana di alzare gli occhi al cielo» è già approdata, perlomeno nei santuari, «alle emoticon della comunicazione digitale». © riproduzione riservata
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