Strafare
Danzava, avviata a una carriera sui maggiori palcoscenici di danza in tutta Europa. Ma le sue articolazioni e giunture erano fragili, tendenti a cedere. Si fece gravemente male a un ginocchio, dovette lasciare il ballo. Le dispiaceva? Difficile dirlo. A Berlino, dove tornò dopo avere giocoforza abbandonato un’importante tournée, vide dei film. Si innamorò del cinema. Era Leni Riefenstahl, colei che fu la più importante documentarista del nazismo. Continuò a danzare in certi film muti brevi dei quali era al tempo stesso il soggetto e l’occhio di regista. Altre volte anche produttrice, montatrice: tutto. Non più alla danza, continuò a interessarsi al corpo umano, anche quando girò il documentario sui Giochi Olimpici che le valse l’amicizia di Hitler, e molta tetra fama. Quand’era ballerina, lo era di “danza espressiva”, la stessa che diverrà poi moderna. Il corpo e ogni suo movimento coreografico per lei avevano senso come esposizione o esibizione di qualcosa. Il corpo umano dimostrava. Degli altri umani però in vecchiaia si stancò. Passati i settant’anni divenne un’appassionata di vita subacquea. Mettersi sotto i riflettori, poi fuggire e sottrarsi al riflettere. Per una frenesia di vincere, strafare, ogni sterzata, ogni svolta, prendeva in lei una forma fanatica. © riproduzione riservata
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