“Vance in Vaticano mi fa pensare” Ma non c’è solo il bianco e il nero
Caro Avvenire, condivido alcune mie considerazioni sulla partecipazione della famiglia Vance alla liturgia del Venerdì Santo in San Pietro. Rifletto sulla testimonianza della propria fede che una famiglia fornisce a un mondo secolarizzato. Soffro perché ai Vance è stato riservato un posto eminente come non accadrebbe per uno dei tanti poveri amati da Francesco. Alimenta poi il mio disagio il silenzio di Vance su Gaza e le parole senza rispetto né senso riservate agli ucraini e agli europei. Carmine Meoli Cautano (Benevento) Caro Meoli, la sua non è l’unica lettera giunta in redazione sulla presenza di JD Vance con la moglie Usha Bala Chilukuri e i tre figli ai riti pasquali in San Pietro. Politicamente, si può dissentire dalle posizioni espresse dal vicepresidente degli Stati Uniti, e per quel che vale l’ho fatto anch’io a proposito del discorso che pronunciò alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco il 14 febbraio scorso proprio sull’Europa. Tuttavia, il fatto che da cattolico non nasconda la propria fede e abbia manifestato il desiderio di essere alle celebrazioni del Triduo mi pare una circostanza positiva o, almeno, non meritevole di critica. Dato il suo ruolo istituzionale, è poi normale che gli sia stato riservato un posto di riguardo secondo il cerimoniale diplomatico consueto. Certo, si può notare che lo stile americano è diverso da quello europeo per quanto riguarda la separazione fra le convinzioni religiose personali e la sfera pubblica. Ma anche questa non è una novità. Vale allora la pena di ripercorrere brevemente il percorso spirituale della famiglia Vance, per quanto i coniugi hanno raccontato (com’è ovvio, nessuno può speculare o giudicare dei sentimenti profondi altrui). JD Vance, cresciuto in un contesto cristiano riformato particolare (descritto nel suo libro Elegia americana) e successivamente ateo durante gli anni universitari, ha riscoperto la fede cristiana anche grazie al dialogo con Usha, sua compagna di studi. Nel 2019 ha abbracciato il cattolicesimo ricevendo i sacramenti. La moglie, originaria dello Stato indiano dell’Andhra Pradesh, è una praticante dell'induismo, cresciuta in un contesto molto religioso. Il matrimonio tra Usha Bala Chilukuri e JD Vance, celebrato nel 2014 in Kentucky, è stato una cerimonia interreligiosa: un amico dello sposo ha letto un passo della Bibbia, mentre un pandit hindu ha benedetto la coppia. Usha oggi partecipa alla Messa domenicale con il marito e i loro tre figli, che i genitori hanno deciso di crescere nella fede cattolica, senza imposizioni. Viene quindi il tema delicato dalla coerenza tra parole e comportamenti, particolarmente significativo per una figura di vertice del governo. Vance è un protagonista attivo di tutti i provvedimenti assunti finora da Donald Trump, a partire dalle dure restrizioni in tema di immigrazione fino ai tagli al welfare e agli aiuti umanitari internazionali, capitoli dolorosi sui quali il dissenso dei vescovi americani, e del Papa stesso, è stato netto. Il vicepresidente Usa ha provato a giustificarli a partire da una prospettiva non banale, eppure controversa se forzata negli ambiti in questione. Vance sembra infatti ispirarsi alla visione teologica agostiniana che enfatizza una gerarchia dell'amore e delle responsabilità morali, detta ordo amoris. Ciò implica che si debba dare priorità alla cura e ai doveri verso la propria famiglia, comunità e nazione, prima di estenderli a estranei o a persone di altri Paesi. In questo senso, sarebbe moralmente corretto occuparsi prima dei propri concittadini. Ma l’insegnamento di Gesù e della Chiesa è in primo luogo universalistico, rivolto verso tutti senza distinzioni: il Buon Samaritano che soccorre lo sconosciuto appartenente a un’altra comunità riassume il comandamento pratico dell’amore, come ha sottolineato Francesco in una lettera all’episcopato americano. Di fronte al contrasto con il Papa e la gerarchia sui fondamenti dell’agire cristiano (non cosa da poco), Vance ha semplicemente detto di essere ancora un cattolico «principiante». Il numero due della Casa Bianca, però, è un pro-life, difensore della libertà di religione, critico delle teorie gender e non timido testimone della propria fede. Per questo, il colloquio con il cardinale segretario di Stato vaticano Parolin ha evidenziato convergenze e divergenze, e il Papa lo ha pur in breve incontrato domenica (tristemente, l'ultimo colloquio del grande Pontefice). Vance, nel bene e nel male, avrà un peso rilevante nel quadriennio ed è già, lui quarantenne, il potenziale successore di Trump. Le sue scelte future saranno un elemento da considerare nell’evoluzione del rapporto tra cattolicesimo e politica in questi anni. Un tema chiave su cui continuare a riflettere in chiave italiana e internazionale, come lei giustamente osserva, caro Meoli, e forse qualche volta anche fonte di motivate sofferenze. © riproduzione riservata
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