«Tempo di lutto, alt allo svago» Sì, rendiamo visibile il dolore
Caro Avvenire, in questa fredda notte d’autunno i miei pensieri, profondi, cristallini, lucidi e consapevoli corrono alla Global Sumud Flotilla in navigazione verso la Striscia. E a Gaza. È difficile per me vivere come se non esistessero. Non riesco a condurre una vita “normale”, intesa questa come leggerezza, divertimento, distrazione, “normalità”, appunto. Il mio cuore è addolorato e ferito a morte. La mia mente si ribella, il mio essere creatura umana palpita di sofferenza. Sono in lutto, e credo dovremmo esserlo tutti. Con parole, atti e comportamenti diversi e contrari al consueto e che siano testimonianza seria e partecipata. Soltanto così potremo lasciare la nostra necessaria traccia e potrà dilagare l’indignazione, il dolore e l’umanità. Siamo obbligati a sentirlo, questo lutto, profondamente. E lo dobbiamo dimostrare, condividere. Rifiutando feste, festini, notti, balletti e canzonette. Non è il tempo. Non avremo un’altra possibilità, dobbiamo fare la differenza oggi. Subito. Lucia Talarico Soverato Cara signora Talarico, il suo appello accorato (che ha postato anche sui social media) merita di essere diffuso perché tocca i cuori. Ma rappresenta anche un dilemma razionale che dovrebbe riguardare chiunque abbia considerazione per l’umanità. L’umanità intesa come l’insieme dei nostri simili, che per i cristiani sono fratelli, figli di un unico Padre. Possiamo vivere come se nulla fosse, dato che la guerra non tocca i nostri cari e le nostre terre? Come singoli cittadini sembra che non siamo in condizione di fare molto, proseguiamo, quindi, le nostre consuete esistenze fatte di lavoro ma anche di svago? Su queste colonne, Viviana Daloiso ha scritto sabato un editoriale importante, da rileggere proprio alla luce di queste domande. Qualcosa possiamo mettere in atto, non siamo condannati all’irrilevanza di fronte alla tragedia di Gaza. Ma il suo quesito, cara signora Talarico, va più in profondità. Non dovremmo “cambiare” in qualche modo la nostra vita, non solo con il lutto, privo della forza di contrastare la morte, ma anche con uno stile e con scelte attive capaci di rendere evidente, a noi per primi e a tutti, l’eccezionalità di ciò che sta accadendo. Ogni dolore ci riguarda e ci interpella. Eppure, non è nemmeno pensabile farci carico di ogni disastro, di ogni guerra, di ogni ingiustizia. Saremmo vittime di quello che viene chiamato sovraccarico morale rischiando, paradossalmente, l’inerzia per eccesso di sollecitazioni. Possiamo pregare e inviare un’offerta per un terremoto in Nuova Zelanda (lo stesso vale a parti invertite, i neozelandesi con un sisma in Italia), o per un conflitto a bassa intensità tra Congo e Ruanda. Tuttavia, non sarebbe nemmeno praticabile mobilitarci per ogni causa. Dobbiamo provvedere agli impegni e ai doveri che ci siamo assunti nel contesto in cui ci troviamo. E poi gli esseri umani hanno bisogno anche di distrazione e leggerezza (spesso oggi ce n’è troppa, concordo). Durante la Seconda guerra mondiale, le star americane di Hollywood andavano a fare spettacoli per i soldati, allo scopo di dare loro un sorriso dentro il dramma dei combattimenti. Gaza, però, potrebbe costituire e, con tutta probabilità, rappresenta in effetti qualcosa di eccezionale, per cui forse è richiesto un sovrappiù di mobilitazione, non solo sociale bensì anche esistenziale. Si tratta, come sappiamo, di stragi di civili su una scala impressionante (in proporzione alla popolazione, è come se in Italia fossero state uccise circa due milioni di persone), di un esodo forzato, della distruzione sistematica di infrastrutture, edifici pubblici e privati, che significa anche la cancellazione di un sistema sociale, del suo radicamento e delle sue memorie. Israele, che porta la responsabilità delle operazioni militari successive al massacro del 7 ottobre – da non dimenticare mai, così come la sorte degli ostaggi in mano ai fondamentalisti di Hamas –, è nostro vicino nel Mediterraneo, nostro partner e alleato, un popolo che tanto ha sofferto in passato e che anch’esso è ora lacerato. Esiste una prossimità geografica, culturale e politica che non possiamo trascurare sia rispetto alle vittime (i palestinesi lo sono in diversa misura da decenni) sia agli attuali invasori della Striscia (che pure non dovrebbero subire la minaccia del terrorismo). Sì, questo è un caso in cui siamo chiamati a gesti chiari e anche costosi. Rinunciamo a ciò che ci gratifica, alla nostra spensierata e ricca routine e tramutiamo questo “digiuno” in un segno visibile ed esplicito. Mi parrebbe velleitario invitare tutti a spegnere la tv o non andare fuori la sera in un giorno specifico. Chi condivide il suo sentimento, cara signora Talarico, adotti singolarmente comportamenti di questo tipo e li giustifichi davanti a chi conosce. Non solo come spettatori, anche i fornitori di divertimento hanno l’occasione di fermarsi per una volta. Possiamo così sperare in un contagio etico che aumenti ancora di più la pressione su coloro i quali possono decidere e agire con efficacia per fermare l’orrore. © riproduzione riservata
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