Tanti gli “italiani” potenti all’estero Adesso proviamo il percorso inverso
Caro Avvenire, leggo sull’edizione del 16 settembre la cronaca dell’incontro tra la nostra Presidente del Consiglio e il Presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. Riporto testualmente: “Si tratta dell’appuntamento che il presidente portoghese ha fissato con la premier italiana…”. Con quel nome e cognome italiani, mi ha fatto venire in mente che abbiamo tantissimi “italiani” trapiantati in altri Paesi con incarichi prestigiosi. Ricordo con venerazione Papa Francesco, il papa argentino di avi piemontesi. Un motivo in più per non disprezzare la nostra Italia… Gianfranco Carella Roma Caro Carella, fa bene a ricordarci i tanti “italiani” che, come si diceva una volta, si sono fatti onore all’estero. Italiani tra virgolette, innanzi tutto, perché spesso si tratta di discendenti, perfettamente integrati nella loro nazione, di emigrati dal Bel Paese. E poi chiariamo, per non creare equivoci, che António Luís Santos da Costa è figlio di Orlando da Costa, scrittore e intellettuale nato a Lourenço Marques (oggi Maputo) in Mozambico, di famiglia originaria di Goa (India), allora colonia portoghese, e di Maria Antónia Palla, giornalista e scrittrice nata a Lisbona. È vero che Costa è un cognome che deriva dal latino costa, cioè “costa”, “riviera”, molto diffuso sia in Italia sia in Portogallo, ma questo non basta. Molti altri nomi che ci suonano familiari sono davvero eredi della nostra cultura. Le loro storie risultano spesso complesse e faticose, come accade con le migrazioni dettate dalla povertà. Penso a Elio Di Rupo, premier del Belgio dal 2011 al 2014, figlio di una coppia abruzzese che nel 1947 si trasferì in seguito a un accordo tra Roma e Bruxelles con il quale 50mila nostri connazionali andarono a lavorare e cercare miglior sorte in Vallonia. Il padre morì quando Elio aveva solo un anno. E penso anche ad Anthony Albanese, attuale primo ministro dell’Australia, di madre irlandese e di padre italiano proveniente da Barletta, che ha abbracciato solo in età adulta proprio nella cittadina pugliese. Per anni aveva creduto che il genitore fosse scomparso in un incidente, cosa che tragicamente avvenne qualche tempo dopo il commovente incontro. Infine, Jordan Bardella, il trentenne braccio destro di Marine Le Pen, presidente del Rassemblement National e possibile candidato all’Eliseo nelle prossime elezioni, che ha un ramo materno piemontese e il nonno paterno di Alvito (Frosinone). La sua infanzia non facile in una famiglia divisa gli fa dire di “rappresentare le origini modeste e la fibra sociale” rispetto alle élites d’oltralpe.
Spostandoci negli Stati Uniti, aveva padre pugliese Fiorello La Guardia, mitico sindaco di New York dal 1934 al 1945, mentre ha padre abruzzese Nancy Pelosi, già speaker della Camera dei rappresentanti. Per non parlare della dinastia dei Cuomo. È arrivata invece nel 1968 in India (da Vicenza) per amore Sonia Maino Gandhi, moglie del premier Rajiv, assassinato nel 1991. Dopo aver rinunciato alla cittadinanza italiana, ha assunto l’eredità politica del marito ed è stata presidente del Partito del Congresso, che fu del Mahatma Gandhi (non parente di Rajiv). Ma in un Paese dal nazionalismo radicato ha dovuto recidere le sue radici e, addirittura, cercare di nasconderle per farsi accettare sulla scena pubblica. L’elenco potrebbe continuare. Chiudiamo ricordando che uno dei fondatori del populismo moderno, Juan Domingo Peron, aveva ascendenze genovesi, dal bisnonno Tomás Mario Perón emigrato in Argentina nell’Ottocento. Quelli fatti, caro Carella, sono soltanto alcuni esempi: potremmo compilare una lunga lista. D’altra parte, se ci sono 5-6 milioni di concittadini residenti all’estero, almeno 80 milioni di persone nel mondo hanno qualche italiano tra i loro antenati recenti. Tuttavia, mi viene alla fine il dubbio che lei volesse sottilmente alludere al fatto che, dopo avere molto esportato cervelli, potremmo rimpatriarne qualcuno anche sul versante politico. In realtà, questa carrellata di “italiani” al potere in altri Paesi, ci deve fare riflettere su come in tanti contesti l’integrazione si sia completata, portando nei governi premier (a partire dal britannico Rishi Sunak) e ministri di origini straniere. Su questa strada siamo molto indietro: pochi ricorderanno l’eccezione della ministra Cécile Kyenge, per 10 mesi titolare dell’Integrazione chiamata da Enrico Letta nel 2013. Una circostanza che dovrebbe diventare meno rara in un Paese sempre più multietnico. © riproduzione riservata
Spostandoci negli Stati Uniti, aveva padre pugliese Fiorello La Guardia, mitico sindaco di New York dal 1934 al 1945, mentre ha padre abruzzese Nancy Pelosi, già speaker della Camera dei rappresentanti. Per non parlare della dinastia dei Cuomo. È arrivata invece nel 1968 in India (da Vicenza) per amore Sonia Maino Gandhi, moglie del premier Rajiv, assassinato nel 1991. Dopo aver rinunciato alla cittadinanza italiana, ha assunto l’eredità politica del marito ed è stata presidente del Partito del Congresso, che fu del Mahatma Gandhi (non parente di Rajiv). Ma in un Paese dal nazionalismo radicato ha dovuto recidere le sue radici e, addirittura, cercare di nasconderle per farsi accettare sulla scena pubblica. L’elenco potrebbe continuare. Chiudiamo ricordando che uno dei fondatori del populismo moderno, Juan Domingo Peron, aveva ascendenze genovesi, dal bisnonno Tomás Mario Perón emigrato in Argentina nell’Ottocento. Quelli fatti, caro Carella, sono soltanto alcuni esempi: potremmo compilare una lunga lista. D’altra parte, se ci sono 5-6 milioni di concittadini residenti all’estero, almeno 80 milioni di persone nel mondo hanno qualche italiano tra i loro antenati recenti. Tuttavia, mi viene alla fine il dubbio che lei volesse sottilmente alludere al fatto che, dopo avere molto esportato cervelli, potremmo rimpatriarne qualcuno anche sul versante politico. In realtà, questa carrellata di “italiani” al potere in altri Paesi, ci deve fare riflettere su come in tanti contesti l’integrazione si sia completata, portando nei governi premier (a partire dal britannico Rishi Sunak) e ministri di origini straniere. Su questa strada siamo molto indietro: pochi ricorderanno l’eccezione della ministra Cécile Kyenge, per 10 mesi titolare dell’Integrazione chiamata da Enrico Letta nel 2013. Una circostanza che dovrebbe diventare meno rara in un Paese sempre più multietnico. © riproduzione riservata
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