«Referendum, strumento limitato» Proviamo altre vie, anche digitali
Caro Avvenire, “Decidiamo democraticamente”. Tutti avremo più volte sentito questa frase. Sapendo anche bene quello che sarebbe seguito: una presentazione delle proposte e successiva votazione con la vittoria di quella più gettonata. Tutti convinti di aver agito democraticamente. Sbagliando invece tutti, almeno a mio avviso. Perché la democrazia non consiste solo in una messa ai voti e l’imposizione della volontà della maggioranza sulla minoranza. È quel faticoso, paziente, ma profondo e intelligente lavoro di partecipazione, elaborazione di idee e di ascolto (ascolto soprattutto) delle posizioni fino a trovare una soluzione che rappresenti un punto di mediazione o, come si usa dire, di sintesi, che intercetti le istanze di quanti più possibile. Ecco perché provo difficoltà ad appassionarmi ai referendum. Questa pratica (tranne rarissime eccezioni) riduce l’alto concetto di democrazia a una mera contabilità dei voti. Marina Del Fabbro Trieste Cara professoressa Del Fabbro, la sua lettera esprime una posizione interessante e poco rappresentata nel dibattito riferito ai referendum, la cui vigilia si è d’improvviso animata politicamente, dopo un lungo avvicinamento caratterizzato dal silenzio intorno ai cinque quesiti su cui siamo chiamati a votare domenica e lunedì. L’idea di democrazia partecipativa e diretta, fatta di discussioni rispettose, faccia a faccia, da cui trarre una via condivisa per agire nell’interesse di tutti è certamente un ideale che può fungere da riferimento e da aspirazione. Ma dobbiamo fare i conti con i suoi limiti concreti. Nella bella intervista di Lucia Bellaspiga allo storico Marco Bettalli su Atene come culla della politica occidentale, pubblicata la scorsa settimana su Avvenire (tinyurl.com/ 2yrbgpgf), emerge come in Grecia vi sia stata sì una svolta epocale nel modo di governare un’entità statuale, ma nello stesso tempo quanto imperfetto fosse secondo i canoni attuali quel processo. “La democrazia era privilegio di una élite, i 60mila veri ‘cittadini’, ovvero solo i maschi, liberi e maggiorenni (…) Dove si teneva l’Assemblea c’era posto al massimo per seimila persone (…). L’oratore più potente si organizzava con la claque che applaudiva e fischiava al momento giusto per orientare il consenso. Diciamo che chi si imponeva in politica in genere era ricco, altrimenti lo diventava, e la corruzione era estremamente diffusa”. Viene da dire: meglio un referendum aperto a tutti, con le garanzie di corretto svolgimento e possibilità di contarsi su un piano paritario. Tuttavia, lo stesso strumento referendario rientra nell’ampio alveo della democrazia diretta, in cui i cittadini si esprimono senza mediazioni su un tema specifico. Una via che in effetti non ha molto spazio nei nostri sistemi rappresentativi perché, come lei sottolinea, cara professoressa Del Fabbro, manifesta numerosi punti di debolezza. Dobbiamo comunque riflettere, proprio nell’occasione di una nuova apertura dei seggi, sulle forme complementari di coinvolgimento attivo della gente nelle decisioni politiche che la riguardano. Perché, in un’epoca che reclama un rapporto più stretto e meno mediato, tra l’elettorato e i leader, nonché un meccanismo più rapido per tradurre le esigenze espresse in soluzioni concrete, l’affluenza alle urne tende a calare, e soprattutto i referendum, che sono una risposta a quei desideri, non suscitano mobilitazione? Vedremo questa volta come finirà, niente è già scritto. Eppure, il tema della partecipazione resta cruciale per salvaguardare le democrazie come le abbiamo conosciute negli ultimi sessant’anni, il periodo migliore nella storia dell’umanità da questo punto di vista. Mi pare che oggi sia da esplorare l’idea di sfruttare le tecnologie digitali per creare gruppi di discussione, sondare gli orientamenti o inviare sollecitazioni in tempo reale, e financo per votare dal proprio smartphone, data la possibilità tecnica raggiunta di fare tutto ciò in sicurezza e privacy. Restano, ovviamente, incognite e controindicazioni da ponderare con attenzione. Tuttavia, non pensarci nemmeno rischia di essere un’occasione perduta di aggiornare la nostra democrazia non solo alla tecnologia attuale, ma anche alla cultura che l’accompagna e ne è influenzata. Un modo per tenere viva la partecipazione, senza smarrirne il valore. © riproduzione riservata
© RIPRODUZIONE RISERVATA






