«Ma come possiamo aiutare Gaza?» Ponte aereo Ue e impegno personale
Caro Avvenire, una città intera e non solo si è mobilitata per la sua squadra di calcio. Invito altre persone di buona volontà a mobilitarsi anche per la drammatica situazione a Gaza, dove stanno morendo di fame – e non solo – bambini, donne e anziani. Faccio mio l’appello di Papa Leone. Quello che posso fare io è pregare e dare un aiuto in denaro attraverso la Caritas. Claudio Di Tuccio Pollena Trocchia (NA) Caro Avvenire, sono un docente di scuola secondaria di secondo grado.
La scorsa settimana, noi docenti abbiamo discusso la mozione di adesione alla Campagna di Emergency di ripudio della guerra, cui hanno già aderito centinaia di Comuni e oltre 500 scuole.
Avevamo raccolto le firme di un terzo dei docenti e speravamo nell’approvazione. È però intervenuta la dirigente scolastica dicendo: «La scuola non fa politica e non ritengo opportuno aderire». Risultato? Non ha votato a favore neanche il terzo dei docenti che aveva sottoscritto la mozione. Un professore del Nord Italia Cari lettori, la tragica situazione a Gaza, dove il conteggio del locale ministero della Sanità ha raggiunto 54mila vittime, ci chiede una mobilitazione delle coscienze che si traduca poi in impegno personale e collettivo nelle forme possibili per ciascuno. Come ha spiegato molto bene domenica su “Avvenire” Vittorio Pelligra, rischiamo di diventare assuefatti all’orrore e di rimanere colpevolmente inerti. Purtroppo, caro Di Tuccio, pensare che vi possa essere a favore del popolo palestinese una manifestazione di massa che blocca la città e fa chiudere le scuole come accade a Napoli per la vittoria dello scudetto calcistico oggi è utopia. Ma non solo a Napoli, sia ben chiaro. Oltre alla preghiera, rappresenta un’azione costruttiva e utilissima contribuire economicamente agli aiuti per la gente ridotta letteralmente alla fame. E pure sensibilizzare i giovani attraverso iniziative promosse dalla scuola. Lei, caro professore che ha chiesto di non comparire con il suo nome, ci fornisce un quadro desolante del legalismo trasformatosi in indifferenza o utilizzato per lavarsi le mani da questioni spinose. Se è vero che non è permesso schierare gli istituti su temi ideologici o fronti partitici, l’opposizione alla guerra intesa come strumento di aggressione non può che accomunare tutti nel totale ripudio. Di fronte a vicende come quelle della famiglia dei medici Alaa e Hamdi al-Najjar, la cui abitazione a Khan Younis è stata bombardata dall’esercito israeliano provocando la morte di nove figli su dieci della coppia, si rimane letteralmente senza fiato. E lo stesso dolore provocano i decessi per fame a causa del blocco delle forniture umanitarie. Singolarmente, non siamo in grado di fare molto dall’Italia. Possiamo tuttavia rendere “importante” per i nostri rappresentanti la fine immediata degli attacchi sulla Striscia e la ripresa degli invii di cibo e medicinali. Come spiegava Pelligra, se non c’è un interesse chiaro in gioco, mancano per i politici gli incentivi a muoversi. Si tratta, quindi, di fare udire la propria voce affinché la diplomazia si attivi rapidamente e con maggiore determinazione. L’Europa discute di sanzioni a Israele o di interruzione degli accordi di cooperazione economica. Mi sembra che più efficace – e meno controverso per chi teme che isolare o indebolire lo Stato ebraico incentivi l’antisemitismo – sarebbe agire in positivo verso le vittime del conflitto. Si dica che, se entro pochi giorni non si consentiranno adeguate distribuzioni di viveri, la Ue avvierà un proprio ponte areo di rifornimenti per Gaza, sia d’accordo o meno il governo di Tel Aviv. E poi si chieda che la stampa internazionale sia ammessa nei Territori palestinesi per documentare quello che avviene giorno per giorno. I reporter locali stanno pagando un prezzo altissimo: sono oltre duecento quelli caduti sul campo, un bilancio senza precedenti in altre guerre. I coraggiosi inviati e collaboratori di “Avvenire”, a partire da Lucia Capuzzi e Nello Scavo, lo fanno ogni giorno per quanto è permesso. La disinformazione serpeggiante, però, insinua dubbi in tanti utenti dei social media e crea pregiudizi che falsano la percezione dell’opinione pubblica. Pertanto, cari lettori, non arrendiamoci e non smettiamo di fare sentire appelli e mettere in atto gesti di pace, come ci indica per primo Papa Leone. © riproduzione riservata
La scorsa settimana, noi docenti abbiamo discusso la mozione di adesione alla Campagna di Emergency di ripudio della guerra, cui hanno già aderito centinaia di Comuni e oltre 500 scuole.
Avevamo raccolto le firme di un terzo dei docenti e speravamo nell’approvazione. È però intervenuta la dirigente scolastica dicendo: «La scuola non fa politica e non ritengo opportuno aderire». Risultato? Non ha votato a favore neanche il terzo dei docenti che aveva sottoscritto la mozione. Un professore del Nord Italia Cari lettori, la tragica situazione a Gaza, dove il conteggio del locale ministero della Sanità ha raggiunto 54mila vittime, ci chiede una mobilitazione delle coscienze che si traduca poi in impegno personale e collettivo nelle forme possibili per ciascuno. Come ha spiegato molto bene domenica su “Avvenire” Vittorio Pelligra, rischiamo di diventare assuefatti all’orrore e di rimanere colpevolmente inerti. Purtroppo, caro Di Tuccio, pensare che vi possa essere a favore del popolo palestinese una manifestazione di massa che blocca la città e fa chiudere le scuole come accade a Napoli per la vittoria dello scudetto calcistico oggi è utopia. Ma non solo a Napoli, sia ben chiaro. Oltre alla preghiera, rappresenta un’azione costruttiva e utilissima contribuire economicamente agli aiuti per la gente ridotta letteralmente alla fame. E pure sensibilizzare i giovani attraverso iniziative promosse dalla scuola. Lei, caro professore che ha chiesto di non comparire con il suo nome, ci fornisce un quadro desolante del legalismo trasformatosi in indifferenza o utilizzato per lavarsi le mani da questioni spinose. Se è vero che non è permesso schierare gli istituti su temi ideologici o fronti partitici, l’opposizione alla guerra intesa come strumento di aggressione non può che accomunare tutti nel totale ripudio. Di fronte a vicende come quelle della famiglia dei medici Alaa e Hamdi al-Najjar, la cui abitazione a Khan Younis è stata bombardata dall’esercito israeliano provocando la morte di nove figli su dieci della coppia, si rimane letteralmente senza fiato. E lo stesso dolore provocano i decessi per fame a causa del blocco delle forniture umanitarie. Singolarmente, non siamo in grado di fare molto dall’Italia. Possiamo tuttavia rendere “importante” per i nostri rappresentanti la fine immediata degli attacchi sulla Striscia e la ripresa degli invii di cibo e medicinali. Come spiegava Pelligra, se non c’è un interesse chiaro in gioco, mancano per i politici gli incentivi a muoversi. Si tratta, quindi, di fare udire la propria voce affinché la diplomazia si attivi rapidamente e con maggiore determinazione. L’Europa discute di sanzioni a Israele o di interruzione degli accordi di cooperazione economica. Mi sembra che più efficace – e meno controverso per chi teme che isolare o indebolire lo Stato ebraico incentivi l’antisemitismo – sarebbe agire in positivo verso le vittime del conflitto. Si dica che, se entro pochi giorni non si consentiranno adeguate distribuzioni di viveri, la Ue avvierà un proprio ponte areo di rifornimenti per Gaza, sia d’accordo o meno il governo di Tel Aviv. E poi si chieda che la stampa internazionale sia ammessa nei Territori palestinesi per documentare quello che avviene giorno per giorno. I reporter locali stanno pagando un prezzo altissimo: sono oltre duecento quelli caduti sul campo, un bilancio senza precedenti in altre guerre. I coraggiosi inviati e collaboratori di “Avvenire”, a partire da Lucia Capuzzi e Nello Scavo, lo fanno ogni giorno per quanto è permesso. La disinformazione serpeggiante, però, insinua dubbi in tanti utenti dei social media e crea pregiudizi che falsano la percezione dell’opinione pubblica. Pertanto, cari lettori, non arrendiamoci e non smettiamo di fare sentire appelli e mettere in atto gesti di pace, come ci indica per primo Papa Leone. © riproduzione riservata
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