«Le guerre per poca intelligenza». È vero, c’è un calo sorprendente

Il fanatismo e l’ideologia che alimentano tanti conflitti possono essere contrastati dall’apertura mentale e dalla capacità di comprendere le conseguenze delle nostre azioni
October 10, 2025
Caro Avvenire,
in tempi di Intelligenza Artificiale, ciò che sembra deficitario, a mio avviso, è l’intelligenza propria agli umani. Non riusciamo a rinunciare alle guerre, le vittime delle quali, centinaia di migliaia, lasciano indifferenti coloro che le procurano. Si osteggiano i testimoni di umanità che, grazie a Dio, ancora esistono. Può darsi che le donne e gli uomini della Flotilla abbiano avuto anche un intento provocatorio, tuttavia disarmati e portando effettivi aiuti alla popolazione di Gaza. Meno intelligenti e assai più provocatorie mi sono sembrate le parole di alcuni personaggi della politica italiana. Ma soprattutto tutt’altro che intelligente mi è parso il comportamento del Governo israeliano.
don Pier Luigi Castelli
Portoferraio (Li)
Caro don Castelli,
per fortuna oggi possiamo parlare di questi temi con una prospettiva concreta di pace, sembra che finalmente un’illuminazione abbia toccato le parti in causa e che per i palestinesi, gli israeliani e l’intero Medio Oriente possa aprirsi un periodo meno tragico. Resta la sua provocatoria, ma non troppo, notazione sull’intelligenza in generale. Se ci muoviamo dallo scenario bellico ristretto, una tendenza colpisce. Negli ultimi dieci o quindici anni, diversi studi hanno segnalato un apparente calo di alcune capacità cognitive fondamentali – in particolare del ragionamento, del pensiero critico e del giudizio riflessivo – in coincidenza con la crescente pervasività delle tecnologie digitali nella vita quotidiana. È come se, per la prima volta nella storia moderna, l’intelligenza media a livello globale mostrasse segni di regressione. Questo fenomeno è stato definito “effetto Flynn inverso”. Il riferimento è al cosiddetto effetto Flynn (dallo psicologo neozelandese che l’ha individuato), cioè l’aumento costante e generalizzato dei punteggi nei test di intelligenza – soprattutto nel quoziente intellettivo (QI) – osservato durante tutto il XX secolo in numerosi Paesi. Tale crescita riguardava soprattutto l’intelligenza fluida, cioè la capacità di risolvere problemi e ragionare in modo astratto, più che l’intelligenza cristallizzata, legata invece alle conoscenze acquisite. 
Le motivazioni della crescita del QI medio venivano individuate nella maggiore diffusione dell’istruzione, nella complessità crescente del mondo contemporaneo, nell’abitudine a pensare in termini concettuali e scientifici e nell’esposizione a stimoli cognitivi sempre più articolati, legati al lavoro, ai nuovi media e alla tecnologia. Ma, proprio come dice lei, caro don Castelli, potrebbe essere (il condizionale per una volta è davvero d’obbligo) che proprio la pervasività delle tecnologie digitali e dell’IA sia all’origine di un potenziale regresso. Vi è un altro dato interessante (e inquietante) da considerare. Uno studio condotto dall’Università della Florida in collaborazione con l’University College London, pubblicato di recente sulla rivista iScience, ha analizzato i risultati del sondaggio sull’uso del tempo negli Stati Uniti relativi al periodo 2003-2023. Emerge che la percentuale di americani che leggono per diletto quotidianamente è scesa di oltre il 40%. Nel 2004, il 28% delle persone intervistate dichiarava di leggere ogni giorno per il piacere di farlo (non per lavoro o studio); nel 2023 la cifra è scesa al 16%. E anche in altri Paesi dagli indici culturali più elevati (Italia compresa) si registra una tendenza alla riduzione del tempo dedicato alla lettura (anche per i più istruiti, finito il percorso scolastico). Il giornalista britannico James Marriott ha scritto pochi giorni fa sulla piattaforma Substack che stiamo vedendo l’alba di una “società post-alfabetizzata” e, addirittura, “la fine della civiltà” in cui le persone riescono a comprendere lunghi testi scritti. Ciò, com’è evidente, non sarebbe senza profonde implicazioni, se risulta vero che la lettura diffusa ha creato un’opinione pubblica e quest’ultima sorregge la democrazia. Insomma, anche volendo restare prudenti e non lanciare allarmi infondati, dobbiamo di certo porre attenzione a preservare l’intelligenza umana, di cui abbiamo grande bisogno. Non è detto che la sola intelligenza, o la sua mancanza, basti a farci evitare le guerre. Tuttavia, il fanatismo e l’ideologia che alimentano tanti conflitti possono essere contrastati dall’apertura mentale e dalla capacità di comprendere le conseguenze delle nostre azioni. Forse in futuro avremo un diverso tipo di intelligenza, visiva e meno analitica. Oppure ci soccorrerà l’intelligenza artificiale. Ma non è così scontato.

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