«I laureati in fuga verso l’estero» Cambiamo mentalità e strutture
Caro Avvenire, tra i fenomeni sociali più preoccupanti che il nostro Paese sta vivendo, c'è l'aumento degli espatri tra i giovani laureati. Nell'ultimo anno 21mila italiani tra i 25 e i 34 anni, in possesso di una laurea, hanno lasciato l'Italia. È il dato più alto mai registrato. Non rappresenta soltanto un’emorragia di persone, è un indebolimento strutturale del capitale umano, della nostra capacità di innovare e produrre benessere. Bisogna cercare di contenere l'esodo di tanti talenti. Gabriele Salini Caro Salini, in questi giorni siamo stati investiti, è il caso di dire così, da una serie di dati circa l’istruzione, l’occupazione, le retribuzioni e l’emigrazione economica rispetto ai quali è difficile fare una sintesi valutativa secca. In Italia le cose vanno male o vanno bene? È un compito troppo vasto per affrontarlo qui. Certo, il dato che lei segnala è preoccupante, soprattutto dal punto di vista economico, perché, come già sottolineato da molti, non è sufficientemente compensato dall’arrivo di professionisti da altri Paesi. Anche una quota di giovani tedeschi, francesi e britannici lascia il proprio Paese ogni anno. Ma a Berlino, Parigi e Londra arrivano tante persone da nazioni diverse, non ultima proprio la nostra. Che cosa non funziona, allora? Prendiamo il caso Milano, che conosco un poco (non sono un economista, in ogni caso). Una ricerca recente dice che le università ambrosiane laureano giovani richiestissimi sul mercato del lavoro, dove ricevono una retribuzione sopra la media nazionale. Vivere in città, però, è costosissimo, e spesso il welfare delle aziende, tranne le più grandi e affermate, non offre lo stesso sostegno che si trova all’estero. Scendiamo tra i non laureati. L’azienda di trasporto pubblico (Atm) non trova autisti per i suoi mezzi ed è costretta (per una convergenza di cause) a ridurre le corse, facendo aumentare le attese, suscitando le proteste degli utenti e, forse, accrescendo il desiderio di espatriare in chi può farlo. Perché non si trovano aspiranti conducenti? I salari sono molto bassi: non si può vivere decentemente a Milano con quella busta paga, se si ha una famiglia, e anche da soli la situazione non è agevole. Per questo, i sindacati spesso indicono scioperi, che contribuiscono ad aumentare l’esasperazione dei viaggiatori, senza migliorare le condizioni degli iscritti. Visto da uno sguardo esterno (e magari un po’ ingenuo), viene da dire che si tratta di una situazione paradossale. Mi sono chiesto spesso perché invece di bloccare la circolazione non si tenta, viste le circostanze, di creare un’alleanza tra dipendenti Atm e viaggiatori. Non incrociare le braccia bensì raccogliere 500mila firme (o un milione) tra i pendolari spesso insoddisfatti per spingere all’aumento delle retribuzioni e migliorare il servizio. I laureati se ne vanno di fronte a imprese che non valorizzano le competenze e mirano solo a tenere bassi i costi del personale, senza considerare il valore di un investimento in capitale umano. Perché non si incentivano le assunzioni di chi ha compiuto un percorso universitario, creando così un volano virtuoso che induca anche più diplomati a proseguire gli studi, colmando un gap nell’istruzione terziaria che ci vede tra gli ultimi in Europa? L'Italia è infatti tra i pochi Paesi Ocse con una quota di laureati ancora sotto il 30%. Potrebbe essere, caro Salini, che abbiamo bisogno di politiche e, in genere, di strategie innovative e più efficaci, pur consapevoli che non bastano direttive dall’alto se manca la spinta dalla società. C’è chi esulta perché è fallito il referendum per rendere più rapida la concessione della cittadinanza agli stranieri residenti. Non sanno costoro che la nostra economia non si sosterrebbe senza la manodopera degli immigrati? Pur non dimenticando mai che una sua parte non piccola soffre la povertà e l’esclusione, restiamo uno dei Paesi in cui si vive meglio, per la dedizione e l’ingegno della maggioranza dei suoi abitanti. Tuttavia, potremmo risolvere tanti problemi se superassimo rigidità, corporativismi, pigrizie e atteggiamenti ideologici. Ci sono chiari segnali di declino che non vanno sottovalutati, a partire dalla “fuga dei cervelli” che da almeno 15 anni è una costante strutturale. © riproduzione riservata
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