Aprire la porta
In una città della Turchia ho conosciuto un sacerdote che opera in una parrocchia frequentata da pochi fedeli - nel Paese i cattolici sono circa 53mila, lo 0,07 per cento della popolazione -, ma dove si affacciano giovani cresciuti in un ambiente islamico o in un clima sostanzialmente secolare, in cui la religione si riduce all’ossequio formale ad alcune regole: uomini e donne che desiderano conoscere il cristianesimo, di cui a scuola e sui media si parla spesso in maniera strumentale. Gli incontri si svolgono nella massima discrezione, anche per non prestare il fianco ad accuse di proselitismo che in qualche occasione hanno portato a denunce, processi e condanne, spesso giustificate dai comportamenti “aggressivi” delle Chiese protestanti. Quel prete non coltiva progetti di conversione, ma ha conosciuto persone nelle quali all’iniziale curiosità ha fatto seguito un’attrazione per un’esperienza che propone Dio come un amico che si fa compagno di cammino nella vita anziché come un giudice severo. «Quindi, cosa fate?», gli ho chiesto, aspettandomi la descrizione di qualche particolare attività. Mi ha risposto con un sorriso: «Cosa facciamo? Apriamo la porta. Apriamo la porta a quelli che vengono a bussare. Tutto il resto non è nelle nostre mani, è nelle mani di Dio e della loro libertà». © riproduzione riservata
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