Lottava per il Tibet libero Dove è finita Zhang?
Nelle foto postate sui social, Zhang sorride: in alcuni scatti i lunghi capelli neri scendono lisci sulle spalle, in altri in morbide onde. Come ogni 22enne di tutto il mondo, predilige paesaggi scenografici come sfondo dei selfie: verdi prati sconfinati o alte rocce a picco sul mare. Le sue immagini parlano di lei, ma lei dov’è? Che fine ha fatto Zhang Yadi? Le ultime notizie della studentessa cinese dal 2022 trasferita in Europa per studiare risalgono a due mesi fa. Il 5 luglio era partita dalla Francia per trascorrere l’estate con i genitori, a Changsha, città di 7 milioni di abitanti capoluogo dell’Hunan, nella Cina centro-meridionale. Da lì era rimasta in contatto con i suoi amici e conoscenti in Europa, informandoli sui suoi spostamenti e documentando ciò che le stava più a cuore: l’annientamento della cultura tibetana e la riduzione del Tibet occupato a Disneyland per i turisti. Dal 30 luglio, il silenzio. Ogni comunicazione con Zhang si è interrotta bruscamente. In questi giorni l’allarme per la sua sorte si è diffuso rapidamente tra gli amici a Parigi e a Londra, dove la attendevano per l’avvio del suo nuovo corso di studi, un master in antropologia alla School of Oriental and African Studies. A Parigi si era appassionata di storia, cultura e religione tibetani e in generale delle minoranze discriminate come anche gli uiguri e le donne iraniane, ed era una delle promotrici del gruppo di giovani studenti cinesi della diaspora CYS4T – Chinese Youths Stand for Tibet: sui social, con un account non direttamente riconducibile a lei, rimproverava alle autorità cinesi il fatto che dopo l’annessione del 1951, alla popolazione della regione, per quanto formalmente autonoma, fosse stata impedita la libertà di culto e di trasmissione delle proprie tradizioni. I post di Zhang avevano molto seguito, e quindi l’ipotesi più diffusa sulla sua sparizione è che sia stata “intercettata” dalle autorità cinesi
e arrestata. In base ad alcune testimonianze, infatti, sembra che a prelevare la ragazza siano stati agenti della polizia mentre lei si trovava in viaggio atrso la Cina. In uno dei suoi ultimi post su X, pubblicati dall’account @TaraFreesoul, scriveva: «Dovremmo riconoscere che in passato abbiamo invaso e colonizzato altri gruppi etnici, provocando un genocidio culturale. Il passato è passato, e non possiamo certo giudicare i popoli antichi con i moderni concetti di diritti umani. Tuttavia, questo sanguinoso passato non dovrebbe essere dimenticato o glorificato. Mentre la politica di assimilazione del PCC contro le minoranze etniche continua, dovremmo ricordare ancora di più questa storia». Secondo Human Right Watch la ragazza si troverebbe in un centro di detenzione a Changsha, e l’accusa formale recapitata alla famiglia, secondo altre ricostruzioni, sarebbe di “incitamento al separatismo”, reato punibile con una pena fino a 15 anni di carcere. La sparizione di Zhang dimostra come il controllo della “dissidenza” da parte di Pechino sia asfissiante anche all’estero. A Parigi la giovane si dedicava a promuovere il dialogo tra gruppi etnici diversi, in particolare tra cinesi Han e tibetani. Niente di rivoluzionario, ma comunque una forte sensibilizzazione sui temi dei diritti dei popoli e della repressione comunista sulle minoranze cinesi. Alcuni colleghi di Zhang hanno interessato della vicenda l’avvocato cinese Jiang Tianyong, esperto nel campo dei diritti umani, ma il 16 settembre anche lui è stato portato via con la forza mentre incontrava in un caffè di Changsha la madre della studentessa.
A questo punto la richiesta degli attivisti di tutto il mondo non è più il rilascio della sola Zhang, ma anche del suo avvocato, in modo che possa portare avanti la difesa della giovane. Al fianco della studentessa ci sono diverse organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, che ha definito la sparizione di Zhag una vicenda «profondamente inquietante». © riproduzione riservata
e arrestata. In base ad alcune testimonianze, infatti, sembra che a prelevare la ragazza siano stati agenti della polizia mentre lei si trovava in viaggio atrso la Cina. In uno dei suoi ultimi post su X, pubblicati dall’account @TaraFreesoul, scriveva: «Dovremmo riconoscere che in passato abbiamo invaso e colonizzato altri gruppi etnici, provocando un genocidio culturale. Il passato è passato, e non possiamo certo giudicare i popoli antichi con i moderni concetti di diritti umani. Tuttavia, questo sanguinoso passato non dovrebbe essere dimenticato o glorificato. Mentre la politica di assimilazione del PCC contro le minoranze etniche continua, dovremmo ricordare ancora di più questa storia». Secondo Human Right Watch la ragazza si troverebbe in un centro di detenzione a Changsha, e l’accusa formale recapitata alla famiglia, secondo altre ricostruzioni, sarebbe di “incitamento al separatismo”, reato punibile con una pena fino a 15 anni di carcere. La sparizione di Zhang dimostra come il controllo della “dissidenza” da parte di Pechino sia asfissiante anche all’estero. A Parigi la giovane si dedicava a promuovere il dialogo tra gruppi etnici diversi, in particolare tra cinesi Han e tibetani. Niente di rivoluzionario, ma comunque una forte sensibilizzazione sui temi dei diritti dei popoli e della repressione comunista sulle minoranze cinesi. Alcuni colleghi di Zhang hanno interessato della vicenda l’avvocato cinese Jiang Tianyong, esperto nel campo dei diritti umani, ma il 16 settembre anche lui è stato portato via con la forza mentre incontrava in un caffè di Changsha la madre della studentessa.
A questo punto la richiesta degli attivisti di tutto il mondo non è più il rilascio della sola Zhang, ma anche del suo avvocato, in modo che possa portare avanti la difesa della giovane. Al fianco della studentessa ci sono diverse organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, che ha definito la sparizione di Zhag una vicenda «profondamente inquietante». © riproduzione riservata
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