Due giudici per i ricorsi pensionistici del clero
Una pensione come tante altre quella recentemente chiesta da un ex sacerdote as-sicurato al Fondo Clero. La lavorazione della domanda ha percorso regolarmente tutta la procedura di rito, identica a quella per i sacerdoti iscritti e in normale servi-zio alla diocesi. Si è conclusa però con un finale fuori programma a danno dell’interessato. Un caso emblematico che richiama diverse considerazioni, non ultima una revisione delle norme sul contenzioso dei ministri di culto come gestito dall’Inps. L’ex sacerdote in questione è stato iscritto e poi esonerato molto prima della Riforma del Fondo dell’anno 2000 che ha elevato il requisito dei contributi per la pen-sione da 10 a 20 anni, insieme all’età da 65 a 68 anni, tutto nell’arco di alcuni mesi. Ma la Riforma ha previsto anche precise deroghe all’aumento dei requisiti: a) per i “fidei donum” autorizzati a pagare i contributi volontari, b) per gli iscritti che pur versando ulteriori contributi di fatto non potevano raggiungere il requisito nel frat-tempo elevato. Gli uffici hanno respinto la domanda dell’ex poiché non rientrava in queste eccezioni. L’inevitabile ricorso dell’interessato è stato invece accolto dal Comitato del Fondo che giudica i ricorsi, valutando che il ricorrente era di fatto un estraneo alla Riforma ma con diritto alla pensione col requisito di 10 anni di contri-buti in vigore all’epoca della sua cancellazione. Sulla vicenda si è inserito il Consiglio di Amministrazione dell’Inps che nei giorni scorsi ha annullato il ricorso accolto dal Comitato Clero, su denuncia del Direttore Generale per presunta violazione della legge. In realtà il Consiglio ha facoltà di inter-venire (legge 488/1999, art. 42) ma diventando così a tutti gli effetti il giudice di se-condo grado dei ricorsi dei sacerdoti. Inoltre la stessa legge dispone che il giudizio si svolga solo sulla denuncia dell’accusa (la Direzione dell’Inps), quindi con una palesa violazione dei diritti della difesa (il Comitato del Fondo Clero) escluso da un equo contraddittorio. La stessa Direzione Generale riconosce la presenza di un secondo giudice dei ricorsi, ricordando – si legge nella sua istruttoria - che il “giudizio” ha effetti solo fra le parti (art. 2909 c. c.) e che è tuttora vigente il divieto di estendere erga omnes il “giudicato” sfavorevole alla Pubblica Amministrazione (legge 14/2009). © riproduzione riservata
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