Il Tavoliere delle Puglie da granaio a deserto
di Andrea Zaghi
G ranaio d’Italia una volta, quasi un deserto oggi. Con tutte le conseguenze del caso. È quanto sta accadendo al Tavoliere delle Puglie ridotto sempre di più, appunto, ad una distesa di terra rinsecchita, ben altro da ciò che era pochi anni fa: una delle aree più importanti del Paese dal punto di vista agricolo. Dietro questa “trasformazione” c’è il cambiamento climatico che, ancora una volta, fa sentire i suoi effetti pesantemente e che deve essere sempre posto sotto osservazione. A segnalare l’esempio pugliese è stata l’Anbi (l’associazione che riunisce i consorzi di irrigazione e bonifica) che spiega: «Nel rovesciamento climatico, dovuto al “global warming”, nascono le “oasi della siccità”» di cui appunto il Tavoliere è esempio importante. Una condizione che tra l’altro non accenna a risolversi. Le speranze che piogge ristoratrici «ricaricassero le falde in questo inizio 2025, dopo le restrizioni patite dalle campagne foggiane nella seconda metà dell’anno scorso a causa dello svuotamento dei bacini, sono stati finora disattese». Certo, è piovuto, ma le piogge inferiori ai 60 millimetri pare abbiano «appena scalfito l’enorme disavanzo idrico, accumulato dopo un’annata siccitosissima». Sembra andare un po’ meglio nelle regioni confinanti. Basilicata, Campania e Molise stanno beneficiando degli effetti di un inverno generoso di pioggia e neve. Mentre la pianura di Foggia «pare destinata ad essere arsa anche nei mesi a venire, come se i monti Dauni creassero un ‘muro climatico’ con i territori vicini». Così, mentre ad esempio nel barese le piogge da gennaio ad oggi sono state del 190% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, e mentre il Salento, in crisi idrica lo scorso anno, ha finora beneficiato di oltre il doppio della pioggia rispetto al nord della regione, i bacini foggiani continuano ad avere sete e registrano il 20% di acqua in meno. Dettagli tecnici, tutti questi, che servono per fotografare una situazione che ha oltrepassato la soglia del dramma e che minaccia davvero di cambiare i connotati di un territorio che era esempio di grande agricoltura. Ma quindi che fare? L’Anbi non ha dubbi. È necessario «collegare idraulicamente i territori, superando anche ataviche contrapposizioni localistiche, perché la gestione dell’acqua non può fermarsi ai confini amministrativi». Un cambio di rotta importante che deve essere ancora condotto fino in fondo. © riproduzione riservata
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