Neanche al Bar Sport di Benni il calcio diventa "pranzo al sacco"
Ma come parli frate? Avrebbe detto un indignato Nanni Moretti ascoltando la telecronaca di Italia-Israele. L’evoluzione della specie del telecronista Rai, ha visto alternarsi delle nobili staffette storiche da the voice Nicolò Carosio al diplomatico internazionale Nando Martellini. Poi è subentrato al microfono sua soavità Bruno Pizzul che ha lasciato il testimone al tecnicoregimental Marco Civoli, e adesso c’è un buon Remedio, Alberto, che da difensore della buona tradizione telecronistica gli tocca “come Gentile con Maradona”, controllare a fatica Lele Adani, come Gentile con Maradona”, cito il nostro Pier Augusto Stagi (commento sul Giornale del 10 settembre). Lele Adani, il gol del 5-4 di Tonali, complice la svagata difesa israeliana, lo ha definito leggiadro come una situazione da “pranzo al sacco”. Slogan surrealista da trionfo sui social, dove gli smanettoni, i millennials in pole, hanno fatto diventare virale l’adanitico “pranzo al sacco”. Pertanto se per le tigri da tastiera Fabrizio Corona ormai sarebbe il più grande giornalista italiano, allora il Lele nazionale è assurto a voce del padrone del pallone italico. Pardon lui il calcio lo chiama sorianescamente Fútbol. Lele da Correggio, in popolarità ormai sta superando i suoi due illustri concittadini: il cantautore Luciano Ligabue (che per quest’ altro Lele magari potrebbe riscrivere Una vita da mediano e “lavorando come Lele Oriali” diventerebbe “straparlando come Adani”?) e lo scrittore Pier Vittorio Tondelli - proprio oggi, 14 settembre, avrebbe compiuto 70 anni - che aveva inscenato la sua tragicommedia Dinner Party durante la sera della finale del Mundial dell’82. Chissà se Adani ha mai letto qualcosa dell’opera tondelliana? Tipo i romanzi Camere separate, Rimini o lo straripante diario della breve vita di Tondelli (è morto a 36 anni nel 1991) Un weekend postmoderno. Cronache degli anni ’80. Glie li consigliamo tutti vivamente, anche come fonte di ispirazione per i prossimi pranzi al sacco in telecronaca.
A Guillermo Ochoa (ex Salernitana) invece consigliamo di trovarsi un agente scaltro quanto quello del nostro Gigio Donnarumma (l’agente è Enzo Raiola, figlio d’arte di Mino). Il 40enne portiere messicano nei giorni scorsi stava per firmare con il Burgos, quando, contratto alla mano, ha detto ai dirigenti spagnoli: “Scusate, scendo a prendere un caffè. Torno subito”. A Burgos lo stanno ancora aspettando. Intanto Achoa, visto l’ingaggio del Burgos che sarebbe stato vicino al minimo sindacale, è volato via a Cipro e ha firmato per il Limassol. Accordo più vantaggioso, ma certo mai quanto quello di Donnarumma con il Manchester City: quinquennale da 80 milioni di euro che salirebbero a 100 milioni in caso di rinnovo dopo il 2030, più svariati bonus, tra i quali quello specialissimo in caso di “porta inviolata”. I bomber da sempre hanno un surplus a fine stagione in base alle reti realizzate, mentre per i portieri la clausola “porta inviolata” è una novità assoluta che viene introdotta dagli sceicchi dell’Etihad per il fachiro dei pali, l’azzurro Donnarumma va all’assalto (per i lettori forti citazione del romanzo omonimo di Ottiero Ottieri).
Tifo Lazio da molto prima del 1985, anno di fondazione della rivista Lazialità diretta dalla voce irriducibile e garbata Guido De Angelis, “e non sono fascista”, titolo di scuse di un editoriale che pubblicammo su Avvenire all’indomani della figurina di Anna Frank con la maglia della Roma apparsa all’Olimpico. Una vergogna, che fa il paio con l’odissea toccata all’attrice Michela Andreozzi: per anni è stata minacciata, anche di morte, per aver proferito in diretta tv a mo’ di sfottò la parola “Lazie”. Un affronto tale da scomodare l’ex capo degli ultrà, il temuto Diabolik, alias Fabrizio Piscitelli, assassinato dalla mala capitolina nel 2019. Fino ad allora gli arditi al servizio di Piscitelli avevano trasformato in un inferno la vita dell’Andreozzi, tempestata telefonicamente a tutte le ore del giorno da messaggi ferali. Il numero del suo telefonino ora si scopre che lo aveva gentilmente passato a Piscitelli l’attore e conduttore Pino Insegno, che in questo caso faceva “Premiata ditta” con Diabolik.
Su una storia del genere che va oltre il limite dell'area della follia, avrebbe potuto scrivere un racconto il teosofo della “Luisona” (la pasta avariata e intoccabile del romanzo Bar Sport) Stefano Benni, che ci ha appena salutati per sempre. Anzi, di certi loschi figuri antenati degli ultrà fascisti Benni nel 1977 per il Manifesto aveva scritto uno dei suoi straordinari racconti: Cosa è successo al Celio. La verità sul caso Sklapper”, parodia tragicomica dell’evasione dall’ospedale militare del Celio dell’ufficiale nazista Herbert Kappler. Quel racconto, sul boia dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, si chiudeva con un profetico, quanto ironico: “Il Nazismo non è morto. Beati noi che abbiamo Rauti, Delle Chiaie e altri bonaccioni…”. Mentre sono in libreria e mi dicono che il suo Bar Sport e La compagnia dei celestini sta andando a ruba esulto come dopo un gol di Kean. Ci mancherai caro Benni, maestro di umorismo e del pensare, anche con i piedi.
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