Yusra Mardini, nuotatrice siriana: è la mia atleta dell'anno
mercoledì 28 dicembre 2016
Siamo arrivati alla fine di un anno olimpico, pieno di sport, nobilitato dalla favola del Leicester di Claudio Ranieri (sinora la più romantica, e probabilmente irripetibile, storia di questo secolo sportivo) e debilitato e infangato dalla vicenda del "doping di Stato" russo.
In mezzo a tutto questo, come sempre, trecentosessantacinque giorni animati da migliaia di storie di atleti, gente dalla fama planetaria o perfetti sconosciuti. Storie di sogni, di speranze, di vittorie, di sconfitte, di fatica. A fine dicembre lo fanno tutti, lo faccio anch'io: bisogna sceglierne una, una soltanto.
Una storia didascalica, che racconti forza, potenza, determinazione, fair play, resistenza, agilità fisica e intellettuale. Insomma, in questo nostro mondo che si fonda sulle classifiche, bisogna necessariamente eleggere l'atleta dell'anno.
La mia atleta dell'anno si chiama Yusra Mardini, ha diciotto anni ed è nata a Damasco, in Siria. Il padre è stato un bravo nuotatore che ha saputo trasmettere a Yusra e alla sua sorella maggiore Sarah, la grande passione per le piscine. Yusra nuota da quando ha tre anni, ma dieci giorni dopo il suo tredicesimo compleanno, in Siria scoppiano i primi disordini e poi la guerra civile. La vita di Yusra e Sarah, che fino a quel momento è passata tra scuola e piscina grazie al supporto del Comitato olimpico siriano che ne intuiva il talento, cambia radicalmente. Nell'agosto del 2015, le sorelle Mardini decidono di scappare da quella guerra devastante e, a tutt'oggi, senza fine.
Un primo tentativo di arrivare in Europa passa attraverso un viaggio di un mese: prima il Libano, poi il porto turco di Izmir da dove cercano di raggiungere la Grecia, ma la guardia costiera ferma gli scafisti e li costringe a tornare in Turchia. Secondo tentativo, allora, verso l'isola di Lesbo, su di un gommone che potrebbe trasportare sei persone e invece, a bordo, ne ha venti. A qualche miglia dall'arrivo il gommone imbarca pericolosamente acqua e sta per affondare. Yusra, Sarah e una terza ragazza capace di nuotare si tuffano e, nuotando per tre ore, trascinano letteralmente il gommone verso la costa dell'isola greca. Ce la fanno e salvano così, oltre alle proprie, le vite dei diciassette profughi a bordo. Da Lesbo inizia la "rotta balcanica" che tante volte abbiamo visto e sentito raccontare in televisione o sui giornali. Un viaggio infinito, a piedi e in treno, attraverso la Macedonia, la Serbia, l'Ungheria, l'Austria e, infine, la Germania dove le sorelle Mardini ottengono lo status di rifugiate. Se il primo sogno sembra avveratosi, un secondo sta per materializzarsi. Fin da bambina, Yusra ha dimostrato di avere talento e sogna di partecipare ai Giochi Olimpici. Un sogno impossibile? No, non esistono sogni impossibili se sei in grado di lasciarti alle spalle una guerra, se hai la forza di trascinare un gommone nuotando in mare aperto e poi di risalire l'Europa, da Skopje a Berlino, a piedi. Così l'impossibile incomincia a prendere forma.
Il Comitato Olimpico Internazionale decide di inserire Yusra in un programma di supporto per una quarantina di rifugiati politici che hanno le qualità necessarie per qualificarsi per i Giochi di Rio de Janeiro. Dieci di loro saranno scelti e fra questi c'è lei, la più giovane di tutti. In questo modo la personale Odissea della diciottenne siriana, trova la sua Itaca il 5 agosto 2016 nello stadio Maracanà di Rio, quando Yusra sfila sotto il vessillo della bandiera olimpica. Arriverà 41esima nella sua specialità, vincendo la sua batteria dei 100 metri farfalla in 1.09.21.
Il tempo non le sarà sufficiente per qualificarsi al turno successivo, ma questo meraviglioso minuto abbondante vale tutta una vita e la fa arrivare prima nella mia personalissima classifica di atleta dell'anno. Perché se esiste uno sport fatto di forza, prepotenza, arroganza e vittoria a tutti i costi che di testimonial ne ha decine, questa ragazzina che viene da un pezzo di mondo dove essere in guerra è la norma, racconta della magia di uno sport ancora fatto di volontà, fatica e resilienza. Uno sport capace ancora di essere un modello per i nostri ragazzi, che può cambiare le persone e il mondo.
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