Vino, la qualità resiste alla crisi
sabato 12 marzo 2011
Nel 2010 le vendite di vino nei supermercati sono diminuite. È un dato che può apparire irrilevante, ma che, invece, dà il segno di una crisi che non è passata e che, anzi, minaccia di ampliare i suoi effetti. Anche se, intanto, i numeri Istat indicano, per l'agricoltura in generale, una ripresa del Pil importante.
Guardiamo al vino. Secondo quanto emerge dall'anteprima dell'indagine sulle vendite di vino nella Grande Distribuzione realizzata dall'istituto di ricerca SymphonyIRI Group per conto di Veronafiere, nello scorso anno le vendite nella Gdo di vino confezionato (vino in bottiglia, da tavola e a denominazione d'origine, e vino brik) sono diminuite quasi dell'1% in volume (anche se il valore è leggermente cresciuto). Aumentano, invece, le vendite delle bottiglie da 0,75 l a denominazione d'origine (Doc, Docg e Igt) che salgono del 2,3% a volume ( e del 3% a valore). Ancor più significativo è l'aumento delle vendite delle bottiglie a denominazione d'origine della fascia di prezzo da 6 euro in su, che mettono a segno un +11,2% a volume (e +10,8% a valore). Cosa significa tutto questo? Secondo i tecnici del comparto, gli italiani acquistano sempre più anche il vino di qualità nella distribuzione moderna, preferendo questo canale distributivo rispetto ad altri. Il problema è che crescono solo le grandi etichette, non tutto il resto del settore. È questo il segno della crisi: vince il blasone, non il prodotto più accessibile, quello che, in teoria, potrebbe trovare fasce d'acquisto più ampie. Insomma, posti di fronte a una scelta, i consumatori preferiscono comprare con minore frequenza e spendere qualcosa in più ogni tanto in una bottiglia d'alta gamma più cara. Non sembra però essere questa la strada giusta per l'intera vitivinicoltura nazionale.
Come riagguantare il mercato in termini più generali, sarà quindi uno dei tempi principali sui cui le imprese vitivinicole e i decisori pubblici dovranno esercitarsi. Anche perché, intanto, una ripresina agricola pare che vi sia per davvero. Così dicono gli ultimi dati dell'Istat. Nel primo bimestre di quest'anno, infatti, anche le imprese agricole sembra abbiano contribuito al +1,2% del Pil nazionale. Ciò accade, viene fatto rilevare, dopo l'aumento dell'uno per cento registrato nel 2010. Timida ripresa, quindi, anche se sottoposto al rischio costi di produzione. La bufera sui mercati delle materie prime energetiche, infatti, crea già difficoltà per gli allevamenti e per le coltivazioni in serra. L'allarme è concretizzato dall'andamento dei costi generali di produzione: +4,4% a gennaio con punte del 16,9% per i mangimi e del 6,4% per i carburanti agricoli.
La morale è semplice. Occorrono politiche mirate che mettano in grado le imprese di riagganciare bene la ripresa e di migliorare la competitività aziendale. Tutto tenendo conto di un fatto: l'agricoltura è estremamente assoggettata al mercato globale ed alle tensioni dei prezzi a livello internazionale.
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