martedì 14 settembre 2004
Meglio di quanto mi conosca io stesso, mi conosci tu, o Dio. Più vicino a me di quanto sia io stesso, sei tu, o Signore. Tu conosci ciò che penso e progetto. Conosci le vie, quelle chiare e quelle scure. Tu mi circondi da ogni parte. La mia vita è nella tua mano, ovunque io sia. In questa giornata dedicata dalla liturgia alla croce di Cristo cerchiamo di ritagliarci pochi minuti per abbandonare la via rumorosa della città su cui stiamo camminando e per varcare la soglia di una chiesa. Nella penombra squarciata dalle fiammelle dei ceri proviamo a sostare in silenzio davanti a quella croce, emblema di morte e di vita, considerata già da s. Paolo "scandalo", ossia pietra d'inciampo. I pensieri potrebbero essere quelli della preghiera che ho citato, composta da un musicista tedesco, maestro di cappella di Lubecca, Johannes Petzold (1912-1985). Anche il Corano dichiarava che «Dio è più vicino a noi di quanto lo sia la nostra aorta», cioè più di quanto noi riusciamo ad essere intimi di noi stessi. Quel Dio che cerchiamo fuori di noi e che accusiamo di essere muto e distante è in realtà in noi, «in interiore homine», come diceva s. Agostino. Egli, perciò, vede e segue il nostro vagabondare sulle vie chiare del bene e su quelle scure del male. Anche se vogliamo talora seminarlo, evitarlo, liberarci dalla sua presenza ingombrante, la nostra vita è sempre nella sua mano. «Ti sono note tutte le mie vie, la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci tutta. Alle spalle e di fronte mi circondi e posi su di me la tua mano» (Salmo 139, 3-5).
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