venerdì 17 febbraio 2017
Un assiduo viaggiatore in treno della Penisola, quale io sono da sei decenni, scruta i cambiamenti avvenuti nella nostra società a partire da usi e costumi ferroviari, e se trova evidentemente vantaggiosa l'alta velocità (tre ore tra Roma e Milano su certi treni, una meraviglia!) trova altresì vergognoso come vengono trattate le linee secondarie e come vengono trattati i pendolari, e le discriminazioni classiste crescenti (non più le tre classi di una volta, che evidenziavano le differenze tra i ricchi, i garantiti e i non garantiti) e le diversità, sulla stessa AV, tra i garantiti, con le differenze che crescono invece di diminuire. Rispetto al passato, il mio rimpianto maggiore è per quei biglietti che, sulla stessa linea, duravano almeno 24 ore e mi permettevano soste lungo il cammino per vedere amici e luoghi, ed è così che mi innamorai, a suo tempo, del Bel Paese che avevamo. Un'altra cosa assai irritante dell'AV è la variabilità dei prezzi a seconda della data di prenotazione, dell'ora in cui si viaggia, del fatto di andare e tornare nello stesso giorno, eccetera. Questa variabilità riguarda altre fruizioni, per esempio i telefonini, e si tratta di modalità che investono sempre nuovi campi. La non certezza del prezzo è un modo di economizzare soprattutto per le aziende, ma è nello stesso tempo un modo di confondere e anche di sfruttare: chi può fidarsi ciecamente delle "offerte" e delle "promozioni" che ossessivamente ci vengono proposte? Di qui la mia nostalgia per il "prezzo fisso", che fu a suo tempo una rivoluzione contro l'aleatorietà della contrattazione continua, su ogni merce e in ogni mercato, a vantaggio dei venditori più astuti o degli acquirenti più esperti. E dei migliori abbindolatori. Contro questa insicurezza, la rivoluzione del "prezzo fisso" fu attuata per primi dai quaccheri, che ripresero la formula della "giusta mercede" e calcolarono il costo reale di ogni prodotto e il giusto guadagno che era corretto ne traesse il mercante. Ai quaccheri fecero seguito nell'Ottocento i "grandi magazzini" e le loro catene, due delle quali in Francia, oggi assai decadute, si chiamano ancora come al tempo della mia giovinezza Monoprix e Uniprix. Scomparsi o quasi i piccoli mercanti, i piccoli rivenditori, contrastata di fatto la vendita privata dal produttore al consumatore, chi fissa i prezzi e chi li controlla? Dovrebbe essere lo Stato ma, se guardiamo all'AV, la logica delle privatizzazioni lascia libero campo a tutte le speculazioni e l'utente non è più sicuro di niente, né del prezzo fisso né di quello variabile.
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