sabato 28 settembre 2002
In un povero vecchio ubriaco/ che trascina malcerto i suoi passi,/ goffamente incespica e cade;/ di sangue e di polvere intriso,/ un'oscura bellezza ravviso./ In sembianza d'uccello ferito,/ dalle ali stroncate e pesanti,/ mi rammenta che un angelo vinto/ dal suo cielo nativo scacciato/ è l'uomo, ed il volo ha scordato. E' morta lo scorso anno dopo una lunga vita di scrittrice e pittrice. Per l'affetto che ha avuto per me e per i dialoghi intensi degli ultimi anni voglio ora rievocare ancora una volta la figura di Lalla Romano (1906-2001) e lo faccio attraverso alcuni versi delle sue Poesie (forse) inutili, edite tre mesi fa da Interlinea. Sono brevi poesie tutte emozionanti; io ne ho scelto una di tema quasi metafisico-teologico e di taglio simbolico. Quante volte ci è accaduto di seguire con curiosità e malinconia l'incedere sconnesso di un barbone ubriaco. In quella figura Lalla Romano vede una parabola della stessa natura umana, una raffigurazione del paradiso, del nostro splendore offuscato, della primitiva bellezza angelica impiastricciata di fango. Ma al di là di questa metafora alta e "autobiografica" per ogni creatura umana, vorrei richiamare la bontà e la potenza dello sguardo della poesia e della fede. Entrambe, infatti, sanno sempre intuire - anche dietro i lembi cadenti di un volto e persino nell'abbrutimento e nella miseria - «un'oscura bellezza». Ogni persona ha in sé una stimmata di luce,
ha sempre qualche tratto dell'immagine divina su cui fu modellata.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: