giovedì 27 febbraio 2003
Dove non c'è umorismo, non c'è umanità; dove non c'è umorismo (cioè questa libertà che ci si prende, questo distacco di fronte a se stessi) c'è il campo di concentramento. Ieri, citando un'autrice spirituale, Madeleine Delbrêl, ricordavo la necessità della lievità interiore che non è leggerezza, la freschezza dell'anima che non è banalità. Ritorno oggi sul tema, ma da un'altra angolatura, attraverso una (spesso citata) osservazione del famoso drammaturgo rumeno-francese Eugène Ionesco (1912-1994), presente nella sua raccolta di Note e contronote. Ciò che mi interessa è soprattutto la definizione che egli dà del concetto di umorismo: «la libertà, il distacco di fronte a se stessi«. In altri termini, l'ironia nasce dal non prendersi troppo sul serio e quindi nel saper vedere, con amabile bonarietà ma anche con sicurezza, i limiti nostri e altrui. Il sarcasmo è spesso diabolico, nasce dalla cattiveria e dall'orgoglio, è il desiderio di schiacciare l'altro, umiliandolo. E quante volte questo accade anche sui giornali, per non parlare poi delle relazioni quotidiane. L'umorismo autentico è, invece, la consapevolezza che la pomposità altezzosa non ci si addice ed è anche la capacità di affrontare la vita con serenità, con la prontezza nello smitizzare ciò che diciamo e facciamo. Proprio per la sua sincerità, il vero umorismo ha una sua forza, riesce a svelare che il re è nudo nonostante la sua prosopopea, ci induce a vaccinarci contro la superbia, contro la sindrome del grillo parlante. Santa Teresa d'Avila pregava arditamente così: «Liberami, Signore, dalle sciocche devozioni dei santi dalla faccia triste!».
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