mercoledì 9 aprile 2003
Un padre può dare a suo figlio il naso e gli occhi, e magari l'intelligenza, ma non l'anima. Essa è nuova in ogni uomo. Mai ci si aspetterebbe di trovare un bel saggio sullo scrittore tedesco Hermann Hesse (1877-1962) in allegato alla relazione d'esercizio d'una banca, in questo caso la Popolare di Sondrio (Suisse), relazione tra l'altro qua e là costellata di citazioni desunte da questo autore sempre verde nell'attenzione soprattutto dei giovani. Alla fine, dunque, di quel saggio - opera di Alessandro Melazzini - m'imbatto nella considerazione sopra proposta, tratta dal romanzo Knulp di Hesse che non ho mai letto. È una fine osservazione sul mistero racchiuso in ogni creatura umana, autentica e costante sorpresa che il Creatore offre alla storia. La tradizione giudaica affermava che il conio fa tutte le monete identiche; Dio, invece, applica a tutti gli uomini lo stesso stampo (la natura umana), eppure riesce a farli anche tutti originali e diversi. Il padre e la madre possono essere felici di trasmettere al loro figlio un'orma di se stessi: chi non ha mai vezzeggiato un genitore esaltando nel suo bambino le somiglianze fisiognomiche? E a ragione. Ma c'è in ogni figlio una novità assoluta che dipende solo dall'infinita capacità di Dio. E' per questo che i genitori devono essere pronti a rispettare la differenza che il figlio reca in sé, a non imporgli una vita a loro immagine o secondo i loro sogni, a far crescere quei tesori e a curare quei mali che egli porta in sé. La molteplicità è voluta da Dio ed è bellezza. Solo il tiranno vuole che tutti pensino, vivano e siano come lui.
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