mercoledì 23 giugno 2004
Talento è la facoltà di imparare. Genio è la facoltà di svilupparsi. Trovo questo "aforisma" di quel grande musicista moderno che è stato Arnold Schönberg (1874-1951) nell'Agenda della musica 2004 curata da Gianni Rizzoni. Confesso di essere rimasto sempre affascinato dall'opera Mosè e Aronne di questo musicista viennese, figlio di un modesto commerciante ebreo, entrato da genio innovatore nella musica del Novecento. La sua distinzione tra talento e genio ha, perciò, un fondamento fatto di esperienza personale ma verificabile - almeno all'esterno - da parte di tutti. Da un lato, infatti, c'è l'intelligenza che, sia pure in gradi differenti, ognuno di noi possiede. Essa è la capacità di apprendere e di capire ed è già un dono straordinario, prezioso per lo stesso credere, come testimoniano i secoli della cultura cristiana: non per nulla l'enciclica di Giovanni Paolo II è stata intitolata Fides et ratio perché due sono le ali che fanno "volare" nel mondo dello spirito e del divino. D'altro lato, però, c'è il genio che sboccia dal talento e che esplode nel cielo della creatività, rivelando una novità, una pienezza e una perfezione che sono un'immagine stessa di Dio. E' per questo che uno scrittore ateo come il franco-rumeno Cioran invitava i teologi a lasciar perdere le loro elucubrazioni e a considerare la musica di Bach (ma non solo") come la più chiara e inconcussa prova dell'esistenza di Dio. Ritroviamo, allora, l'esercizio vivo e serio della ragione ma lasciamoci conquistare da quell'epifania di luce, di armonia, di verità e di bellezza che l'arte dei geni svela davanti ai nostri occhi, spesso contaminati e offuscati dalla bruttezza e dalle brutture.
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