martedì 31 maggio 2022
In una sera di temporale, un tonfo nel cortile. Mi affaccio, non vedo nulla. Due minuti e suonano alla porta: è caduto un gatto in cortile, è suo? Scendo di corsa. No, non è mio. Sul selciato ansima il gattone del sesto piano, che a volte riportavo a casa, trovandolo sulla scala. Un gigante, una tigre, l'Imperatore, lo chiamavo fra me. Perde sangue dalla bocca. Respira affannoso. Ma, gli occhi: quei grandi occhi sofferenti e sbalorditi, nell'avvertire la morte. Un animale non conosce la morte, non sa niente, un animale non può sperare. L'abbiamo accarezzato e riparato con una coperta, una vicina e io.
L'Imperatore è morto. Muoiono di guerra o fame in milioni, ed è morto semplicemente un gatto. Lo so. Ma il problema sono quei occhi sbarrati, come vedessero qualcosa di mai visto e intollerabile. Non sentiva le nostre carezze e le nostre voci, il gatto, fissava solo quel buio che gli si parava davanti. Senza tentare di fuggire. Docile alla morte.
L'altro problema è che, in quegli occhi d'oro, la morte l'ho vista anche io, l'ho riconosciuta - come si riconosce una donna dal suo profumo, quando ti passa accanto. La morte carnale, il male di vivere di Montale - («era l'incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato»). E ho avuto paura - per me, per tutti. Ma Cristo è risorto, mi sono ripetuta, in affanno. Senza la notte del Sabato, tutto sarebbe solo polvere.
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