Su papa Giovanni patrono militare: tanti dubbi e un eloquente silenzio
venerdì 15 settembre 2017
Guardo da lontano l'abbondante raccolta (il mio robot prediletto mi indirizza su una ventina di post) di articoli e commenti reperibili in Rete a proposito della dichiarazione di Giovanni XXIII «patrono presso Dio dell'Esercito italiano», e trovo poco da aggiungere alle voci già registrate in proposito su questo giornale: essa solleva «tanti dubbi». Se poi metto tutti i testi catturati sotto la lente d'ingrandimento, trovo che buona parte delle voci è intonata a quella del presidente di Pax Christi, il vescovo Ricchiuti ( tinyurl.com/ycz76z99 ), nel criticare radicalmente l'opportunità di associare la figura di questo Papa all'uso delle armi; le restanti voci, come quella di Ezio Bolis, direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII ( tinyurl.com/yblz6xnw ), argomentano la componibilità tra il magistero di papa Roncalli in tema di pace, alcuni tratti della sua biografia e il nuovo patronato.
Non c'è da avere dubbi, peraltro, su un dato: tutti quelli che hanno preso la parola intorno al patronato appena annunciato, dissentendo o meno sulla sua opportunità, lo fanno a partire dalla grande considerazione in cui tengono Giovanni XXIII, che del resto la Chiesa ha già proclamato santo, e in particolare la sua ultima, profetica enciclica, la Pacem in terris, con la quale associò definitivamente il suo nome alla causa della «pace tra tutte le genti». Sono invece mancate, finora, da questo dibattito le voci di coloro che, da una prospettiva antimoderna, giudicano severamente il pontificato roncalliano, al punto da avere espresso a suo tempo perplessità sulla sua stessa canonizzazione. Non credo che tale silenzio corrisponda a un assenso al patronato militare: alle orecchie di chi considera la Pacem in terris un'imprudenza politica, il binomio Giovanni XXIII-Esercito italiano deve piuttosto suonare altrettanto stonato di quanto lo avverte la galassia ecclesiale che milita per la pace.
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