domenica 15 dicembre 2002
C'è negli uomini un altro istinto segreto, residuo della grandezza della nostra prima natura, che fa loro comprendere che la felicità vera è nella quiete e non nel trambusto. Come mi accade spesso, ritorno su un pensatore che mi è molto caro, Blaise Pascal (1623-1662) e su quella raccolta di intuizioni, appunti, abbozzi che sono i suoi Pensieri. In questa annotazione propone un tema che gli è caro: non dimentichiamo che il filosofo e scienziato francese amava sostare nel monastero di Port-Royal, ove era entrata anche sua sorella Jacqueline. La quiete, la solitudine sono per lui le vie più agevoli per incontrare Dio e se stessi. È facile pensare alle parole di Cristo: «Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Matteo 6, 6). L'uomo contemporaneo non conosce più la bellezza di questa quiete; il rumore gli è entrato ormai nelle vene e nel cervello e, se non ha movimento e trambusto attorno, gli sembra di essere spaesato. Per questo, anche di domenica, s'affretta a correre via in località affollate, a infilarsi in stadi urlanti, a frequentare discoteche o locali dai suoni assordanti. Orazio, il poeta latino delle Odi, ha un distico che dice Neque semper arcum/ tendit Apollo (II, 10, 19-20), cioè neppure Apollo sta sempre con l'arco teso. Bisogna saper riposare, sì, ma non in un'inerzia snervante, bensì in una quiete ritemprante.
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