Prendersi cura di ogni dettaglio
mercoledì 9 ottobre 2019
Ho letto recentemente un bellissimo libro che racconta del rapporto fra un uomo e il suo mentore. L'uomo è un allampanato ragazzo di colore di 218 centimetri, convertito all'islam, tutto musica jazz e black power. Il suo mentore un signore bianco come il latte, alto (forse) 170 centimetri, religioso, modesto, educatissimo. Due umani agli antipodi, si direbbe, sia fisicamente che intellettualmente, che hanno dato vita a una delle alleanze più straordinarie della storia dello sport. Si chiamano Karem Abdul-Jabbar, straordinario giocatore di basket americano e coach John Wooden, una vera leggenda della panchina. Il libro, che si intitola Coach Wooden and me (Add editore), in copertina, mostra un giovanissimo Kareem Abdul-Jabbar al fianco del suo coach e, nella quarta, una foto praticamente identica, ma scattata cinquant'anni dopo, dove quell'atleta è diventato uomo e John Wooden è quasi centenario. Tutta la narrazione è una potentissima metafora di come le ricchezze stiano nelle differenze, di come un coach e un suo atleta possano trovare, nel loro rapporto, la rispettiva realizzazione di sé, di come un docente possa cambiare la vita di un discente e di come un allievo possa contribuire a realizzare la missione di un maestro. Tutto bello, tutto pieno di ispirazione, tutto molto alto. Tuttavia, per raccontarvi di come allenare (o educare) sia una missione totalizzante, scelgo un passaggio decisamente curioso del libro: quello in cui Kareem Abdul-Jabbar racconta il suo primo allenamento di fronte a quel coach che cambierà per sempre la sua carriera e la sua vita.
Wooden, racconta Jabbar, aveva davanti a sé la più grande squadra di matricole della storia del basket seduta sulla panchina di Ucla, in attesa delle prime parole di saggezza dell'allenatore per il quale arrivavano da ogni parte del Paese. Il coach si schiarì la voce, preparandosi a parlare e quegli atleti pieni di sete di sapere si sporsero in avanti, pronti a tatuarsi la sua saggezza nel cervello, per l'eternità. «Oggi impareremo come metterci le scarpe da ginnastica e le calze in modo corretto», esordì coach Wooden. Pur non osando ridacchiare, i ragazzi si guardarono l'un l'altro chiedendosi che scherzo fosse quello, ma il coach, senza fare una piega, si chinò per togliersi scarpe e calzini. «Parleremo dei concetti di calze tese e scarpe comode» ripetendo con enfasi: «tese-e-comode!» La squadra di pallacanestro delle matricole del 1965-66 era composta dai giocatori più richiesti da tutte le Università della nazione, che avevano scelto Ucla perché aveva il miglior coach e il miglior programma universitario di pallacanestro del Paese, il luogo perfetto per sviluppare il proprio talento, laurearsi e passare al basket professionistico. Era questo il grande John Wooden? "Tese-e-comode" Wooden? "Tese-e-comode" era il segreto del successo di Ucla? Il coach sorridendo di fronte a quelle espressioni sconcertate, recitò platealmente: «Come disse Benjamin Franklin: per colpa di un chiodo si perse lo zoccolo; per colpa di uno zoccolo si perse il cavallo; per colpa di un cavallo si perse il cavaliere; per colpa di un cavaliere si perse la battaglia; per colpa di una battaglia si perse il regno. Tutto per colpa di un chiodo».
La più grande squadra nella storia del basket universitario rimase allibita a fissarlo. «Se non tendete bene i calzini – disse con fermezza – è probabile che facciano le grinze. Le grinze fanno venire le vesciche. Le vesciche costringono i giocatori a sedersi a bordo campo. E i giocatori che si siedono a bordo campo perdono le partite». La prima indimenticabile lezione del maestro aveva colpito nel segno: prendersi cura dei dettagli, nello sport come nella vita, è l'unico modo per riuscire a realizzare in pieno il proprio potenziale!
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