Pregare il Signore del Veleno, antidoto alla disinformazione
mercoledì 24 ottobre 2018
“Terre d'America” è la testata online con la quale Alver Metalli conduce un'instancabile lavoro di informazione sulla vita ecclesiale e civile dell'America Latina, che spesso si riverbera su “Vatican Insider”. Con un post uscito lì il 21 ottobre ( tinyurl.com/y7movs56 ) Nicolás Arizmendi attribuisce a una guida «burlona ma non troppo» il suggerimento di legare una devozione che ha origine all'inizio del Seicento, duecento anni dopo la nascita di Gutenberg, ma quasi quattrocento prima di quella di Zuckerberg, a un punto critico dell'odierna comunicazione, specie digitale: le fake news. La tradizione narra di una statua di Cristo, bianchissima, i cui piedi furono cosparsi di veleno per liberarsi di un sacerdote troppo retto, oltre che devoto. Il Cristo non solo protesse il sacerdote dall'avvelenamento raccogliendo le ginocchia e impedendo così a questi di baciargli i piedi, ma assorbì in sé tutto il veleno, divenendo nero. «Signore del Veleno» divenne così il nome dell'immagine, attualmente custodita nella cattedrale di Città del Messico. Oggi i fedeli pregano davanti al Signore del Veleno «anche per essere difesi dalle maldicenze, dalle calunnie, dalla tentazione di commettere noi stessi delle azioni di questo tipo», dice ancora la guida; e poiché le notizie false «diffuse con deliberata coscienza», e peggio ancora le mezze verità (lo dice il Papa), hanno questo effetto velenoso sull'intera opinione pubblica, la devozione al Signore del Veleno può estendersi all'ambito mediatico. Non si può negare l'efficacia della metafora. Soprattutto mi tengo stretta l'idea che rischiamo di assorbire la disinformazione, che è praticata pure in qualche angolo della blogosfera ecclesiale, come un veleno il quale – aggiungo – dispiega il suo effetto non immediatamente, ma lentamente, giorno dopo giorno, con la ripetizione martellante di ciò che vero non è, ma alla fine lo diventa. Davvero la preghiera potrebbe essere un valido antidoto.
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