giovedì 21 aprile 2011
Il suo silenzio gli pesa. Il prigioniero l'ha ascoltato guardandolo fisso negli occhi con uno sguardo dolce e penetrante. Il vecchio Inquisitore vorrebbe che gli dicesse qualcosa, anche di amaro, di terribile. Ma ecco, Cristo gli si avvicina in silenzio, e lo bacia dolcemente sulle vecchie labbra esangui. E questa è tutta la sua risposta.

Cala così il sipario su uno dei testi più alti della letteratura di tutti i tempi, la celebre «Leggenda del Grande Inquisitore» incastonata nella II parte, nel V libro, nel V capitolo di quel capolavoro che sono I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Lo scrittore russo completava queste pagine un paio di anni prima della sua morte: era il 1879, ed egli stesso confessava che questo era il «culmine» del romanzo. Cristo, nel carcere dell'Inquisizione della Siviglia del XVI secolo, è ininterrottamente contestato dal vecchio Inquisitore dal «volto scarno e dagli occhi infossati che mandano ancora una luce simile a una scintilla di fuoco».
E la prima e fondamentale domanda è: «Perché sei venuto a disturbarci? Lo sai anche tu che sei tornato a disturbarci». E l'ultimo, violento monito sarà: «Vattene e non venire più" non venire mai" mai, mai!». Cristo tace sempre di fronte alla valanga di accuse dell'Inquisitore che gli contesta di essere un pericolo per la quiete amorfa dell'umanità alla quale ha portato la libertà, la coscienza, la responsabilità, alla quale ha insegnato il senso segreto del dolore e nel cui cuore ha deposto il seme dell'amore. Cristo, anzi, donerà la sua vita per questa folla che «oggi bacia i suoi piedi e domani si precipiterà ad attizzare il fuoco del rogo» ove incenerire una presenza così forte e scomoda. Perché abbiamo evocato in questo Giovedì Santo la «Leggenda del Grande Inquisitore» di Dostoevskij? Solo perché essa potrebbe diventare una sublime meditazione per questi giorni santi.
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