Pazienza e rispetto, la civiltà della “coda di Wimbledon”
mercoledì 5 luglio 2017
È cosa certa: alcune forme d'arte sono linguaggi universali, fra queste (e a pieno titolo) la musica e lo sport. Così, se ancora sono negli occhi le immagini dell'oceanico e caotico happening musicale di Vasco Rossi a Modena, voglio raccontarvi di un'esperienza altrettanto affascinante, totalizzante, certamente più ordinata, anzi molto british si potrebbe dire. Si tratta della “Wimbledon queue”, la famosa (almeno per gli appassionati di tennis) “coda di Wimbledon”. Chi desidera vivere l'esperienza del torneo di tennis più antico e affascinante del mondo, la prima edizione risale al 1877, può farlo, meravigliosamente, già nella prima settimana. Tutti i giocatori più importanti sono in gara e si gioca su tutti i campi, letteralmente dalla mattina alla sera. È il modo più bello per immergersi in un'esperienza che coinvolge tutti i sensi e che incomincia fin dall'uscita dalla fermata della metropolitana di Southfields, dove si viene accolti da centinaia di manifesti con il simbolo del torneo e invitati a camminare su un soffice manto di erba sintetica che simula quella dei campi.
Lo spettatore che desidera accedere al club di Wimbledon e fare questa indigestione di tennis nella settimana iniziale del torneo in tutte le sue forme (maschile, femminile, singoli, doppi) deve avere un “ground pass” che, qui viene il bello, non si può ottenere con una prenotazione in anticipo. Per avere il “ground pass” non si può sfuggire al rito della coda che qui diventa parte dell'esperienza stessa, proprio come in una performance artistica. Gli inglesi, come noto, considerano il fare la coda qualcosa in più di un'abitudine. Un aforisma del giornalista e scrittore George Mikes, nato in Ungheria, prima inviato ma poi stabilitosi definitivamente in Inghilterra, acutissimo osservatore delle abitudini britanniche ricorda che “un inglese che aspetta da solo il bus sta formando una normale coda di una persona”. Addirittura pare che la percentuale di inglesi che morì nel naufragio del Titanic sia stata decisamente più alta rispetto ad americani e irlandesi, perché il loro mettersi in coda per salire sulle scialuppe di salvataggio ne segnò il destino. La coda è una specie di passione, una visione del mondo, quasi una forma d'arte.
Nel magico scenario di Wimbledon, dunque, il modo in cui si fa la coda è parte dell'esperienza. Come si potrà immaginare tutto è organizzatissimo e funziona perfettamente, ma non cambiano i parametri fondamentali del fare la coda: occorre essere pazienti e, soprattutto, arrivare prestissimo, perché i biglietti a disposizione non sono molti. Ecco perché una gettonatissima soluzione è quella di arrivare la sera prima e accamparsi con una piccola tenda, montata rispettando rigorosamente la coda. L'inizio dell'estate inglese può essere freddina, certamente molto umida poiché regolarmente innaffiata dalle famosissime pioggerelline quotidiane, così coloro che sono accampati e che vengono svegliati dal personale addetto alle 6 in punto e coloro che arrivano (di corsa) con la prima metropolitana, iniziano l'attesa del loro “ground pass” per un tempo indefinibile, alternando crema solare a impermeabile.
Dopo ore di attesa, quando si accede alla biglietteria, si può finalmente comprare, attenzione, un solo biglietto per persona e pagando rigorosamente in contanti. Meglio non scoprirlo lì, altrimenti si rischia di non vedere neanche una pallina da tennis e di dover tornare a casa, non a mani vuote, ma con l'adesivo: “I made The Queue” (“Io ho fatto la coda!”), un trofeo che neanche Federer o Djokovic possono vantare!
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