martedì 31 maggio 2011
Credente non è chi ha creduto una volta per tutte, ma chi, in obbedienza al participio presente del verbo, rinnova il suo credo continuamente.

Quando raccontava la sua conversione Chateaubriand, nella sua opera più celebre, Il genio del cristianesimo (1802), usava semplicemente due verbi: j'ai pleuré et j'ai cru, «ho pianto e ho creduto». Certo, c'è la via di Damasco per san Paolo e per molti; ma questa epifania folgorante dev'essere solo un inizio, altrimenti si trasforma in un mero evento spettacolare o taumaturgico. Ha, quindi, ragione Erri De Luca, uno scrittore ben noto ai lettori di questo giornale che non di rado ha ospitato alcuni suoi testi, quando definisce l'autentico credente. Emblematico è appunto il participio presente che incarna una continuità e non un atto singolo.
Quando Elisabetta saluta Maria, la madre di Gesù venuta in visita nella sua casa, la interpella così: «Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore» (Luca 1,45). Ebbene, se noi esaminiamo l'originale greco, scopriamo un participio che indica uno stato permanente «Beata la credente!». L'odierna festa liturgica della Visitazione contiene, allora, al suo interno anche questo messaggio: credere non è tanto un atto eroico ed eccezionale, compiuto una volta per sempre; è, invece, una scelta quotidiana, coi colori dell'ordinario e persino della paziente fedeltà. Ne sa appunto qualcosa Maria che deve seguire suo figlio prima nel grigiore dei giorni nascosti e sempre uguali di Nazaret e poi in mezzo alla folla che lo segue, fino a raggiungerlo sulla vetta della prova e del distacco, nell'addio struggente del Calvario. Maria è credente nel cuore e nelle opere anche quando s'inerpica verso la casa di Elisabetta per esserle accanto, mentre la parente compie la gestazione faticosa del figlio Giovanni.
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