martedì 30 agosto 2005
La parola sapiente è quella che, detta a un bambino, viene capita senza bisogno di spiegazioni.Devo confessare che il pubblico che mi mette più in imbarazzo quando devo tenere un discorso o un'omelia è quello dei bambini. Senza il falso «aplomb» che cela anche le distrazioni, ostentato dagli adulti, essi rivelano in modo esplicito e sincero la loro attenzione o la loro noia. È per questo che le parole destinate a loro devono avere non solo una sostanza ma anche una sapienza espositiva: se si riesce a intrecciare queste due doti, allora accadrà che pure gli adulti rimarranno coinvolti. È ciò che ricorda il grande scrittore spagnolo Miguel de Unamuno (1864-1936) nella frase che oggi propongo.L'arte di comunicare è un po' innata e un po' (anzi, molto) dev'essere acquisita attraverso un vero e proprio apprendistato. Chi dice di improvvisare - almeno sui temi seri - è sempre pericoloso e, purtroppo, se ne ha non di rado attestazione anche nelle omelie domenicali. I genitori, se vogliono offrire ai loro figli un vero insegnamento, non devono accontentarsi delle solite buone parole o della sgridata istintiva: ad accorgersene sono per primi i ragazzi che lasciano passare quelle parole come acqua sulla pietra. Il tema della comunicazione si allarga ulteriormente a tutte le relazioni umane e io vorrei esaltarne il rilievo con una frase del filosofo tedesco Hans Georg Gadamer, morto nel 2002 a 102 anni: «La comunicazione è il terreno su cui si gioca ogni opportunità di incontro tra gli uomini e degli uomini con gli eventi, dunque anche il futuro dell'umanità».
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