Papà Mario, il mio Pallone d’oro privato
sabato 8 aprile 2023
Mi scuso con i lettori se approfitto di questo spazio per parlare di me e del mio Pallone d’oro privato, mio padre, Mario Castellani. Per gli amici “la Spalla”. Goffredo Fofi l’ha conosciuto sicuramente a Mario Castellani, la storica spalla di Totò. Anche mio padre a suo modo è stato un attore, il mio primo maestro di cinema e di sport. Era nato nel 1946, l’anno di Mio figlio professore. Un film che mi aveva fatto conoscere fin da piccolo (lo vedemmo al Cinema Metastasio di Assisi) per educarmi a non vergognarsi mai delle proprie origini, ma anzi di andarne sempre fiero, a testa alta davanti al mondo. Il film, di Renato Castellani
parla di un padre bidello (Aldo Fabrizi) e del figlio professore (Giorgio De Lullo) che va ad insegnare nella stessa scuola in cui lavora il papà, e non vuole che si sappia che il suo genitore è un semplice bidello. Mio padre ha lavorato come bidello nel mio Liceo, il Frezzi di Foligno, e per anni è stato un istituzione. Un liceale aggiunto, amato da tutti, a cominciare da questo figlio giornalista di cui sbandierava con orgoglio pezzi scritti da mezzo mondo su pagine che ritagliava e collezionava in una scatola di ricordi, buoni da rileggere negli anni della pensione. Mio padre mi ha insegnato il senso dell’ironia, la capacità rara di non prendersi mai sul serio e di sorridere alla vita, di trovarla bella e sempre interessante, anche quando si sta male. Ci univa lo spirito goliardico, monicelliano. Un giorno l’ho sbattuto con la sua bella faccia sul Messaggero (il giornale dove ho cominciato a scrivere che ero un ragazzino) sotto il titolo “Il cameriere della Bardot”. A Spoleto, dove era nato, nel ’62 aveva visto girare Vita privata di Louis Malle con la Bardot e Marcello Mastroianni e all’attrice francese aveva portato il caffè in camera (lavorava da cameriere al Tric-Trac in piazza Duomo) e vedendola dal vivo si era emozionato al punto da far cadere il vassoio e correre per le strade gridando: “Ho visto la Bardot…ho visto la Bardot!”. Mio padre raccontava aneddoti di vita con la stessa enfasi dei collegamenti
di Ezio Luzzi a Tutto il calcio minuto per minuto per segnalare un gol clamoroso al Cibali. Tutto ciò che so sul calcio l’ho appreso da lui, e subito. Avevo sei mesi quando mi ha portato allo stadio Olimpico per “assistere”
a un Lazio-Juventus (lui juventino sivoriano, io poi sarei diventato laziale per “battesimo” naturale) che ricordava con orgoglio: “Quello è stato il tuo debutto assoluto in uno stadio”. Insieme abbiamo gioito allo stadio, e pianto quando abbiamo visto la morte in diretta di Renato Curi, Perugia-Juventus, 30 ottobre 1977. Avevo 8 anni, 8 era il numero di maglia di quel piccolo eroe esemplare di Curi, morto sul campo che ora porta il suo nome. Quel giorno di pioggia ho visto mio padre piangere e
stringendomi la mano mi ha detto: “Curi adesso è in cielo!”. Insieme siamo andati negli stadi di tutta Italia, trascinando anche mia madre, Teresa, per 54 anni la sua sposa amata che lo ha accompagnato fino all’ultimo respiro. Mio padre mi ha insegnato che la vita è un bellissimo gioco, proprio come il calcio, che ha seguito con la passione di un bambino, fino a martedì sera. Aveva gli occhi dell’eterno ragazzo fissi sullo schermo che trasmetteva Juventus-Inter, la semifinale d’andata di Coppa Italia. Non vedremo insieme la partita di ritorno, perché papà Mario mercoledì è volato Lassù. E lo ha fatto con il sorriso e il coraggio dell’hombre vertical,
da Pallone d’oro. Il mio Pallone d’oro privato, per sempre.
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