“O anche no”, così si fa tv di servizio
martedì 15 ottobre 2019
Non è la prima volta che lo diciamo, ma ci sono programmi di autentico servizio pubblico che dovrebbero trovare (per contenuto, realizzazione e snellezza) collocazioni orarie ben più abbordabili per il telespettatore. È il caso anche del docureality O anche no, in onda la domenica su Rai 2 poco dopo le 9,00. È vero che c'è Raiplay e i giovani, a cui è particolarmente indirizzato, è più facile trovarli lì attraverso l'incrocio con i social. Ma è altrettanto vero che c'è un pubblico meno avvezzo alle tecnologie che ha comunque diritto a buoni programmi formativi. Non ci vergogniamo, infatti, di continuare a dire in controtendenza che la tv può svolgere un ruolo educativo al pari di quello che (se la Crusca ce lo passa) potremmo definire maleducativo. O anche no, condotto da Paola Severini Melograni, è un format in dieci puntate di mezz'ora ciascuna che racconta la disabilità senza pregiudizi e buonismi. Il punto di forza sono i protagonisti: il personale dell'Albergo Etico di Roma (che dà lavoro a disabili), i giovani di RadioImmaginaria, i musicisti di Ladri di carrozzelle e gli ospiti noti tra cui Carlo Verdone, che domenica scorsa ha parlato dei suoi due film dedicati al tema della disabilità e di come sia riuscito a trasporre in commedia un tema così delicato. Alla fine, però, ha colpito di più l'intervista a Paolo Falessi, il fondatore di Ladri di carrozzelle, la band romana di artisti con disabilità. Falessi ha ricordato di quando faceva l'animatore (lui dice «lo scemo») in un villaggio e fu invitato a coinvolgere un gruppo di disabili. Non ritenendolo opportuno pensò di inventar loro una scusa, ma s'imbatté in due ragazzi in carrozzina che litigavano e uno dei due che diceva all'altro: «Brutto handicappone, mo' me arzo e te meno». «Mi si è aperto un mondo – ammette Falessi –, ho pensato: questi so' più scemi de noi. Da quel momento al villaggio ne abbiamo combinate di tutti i colori. Poi è nata un'amicizia e siccome ci piaceva la musica abbiamo deciso di farla insieme». Un bel modo, insomma, di imparare a rapportarsi con la disabilità e di capire cosa significa trattare realmente tutti allo stesso modo. Ma nel programma c'è molto altro e tutto va in questa direzione. Vedere per credere.
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