giovedì 26 ottobre 2017
Per lo scrittore e docente di estetica francese René Huyghe «l'arte è, per la storia delle comunità umane, ciò che il sogno di un uomo è per lo psichiatra». Non si tratta insomma soltanto di una tecnica più o meno raffinata o di una forma di cultura sublime; nemmeno di una distrazione ai margini della realtà. Essa giunge invece al cuore della vita, ne svela i misteri e le inquietudini. «Nell'arte – diceva ancora Huyghe – l'anima di un'epoca non si mette la maschera». Queste considerazioni sono fatte proprie da Hans Sedlmayr, storico dell'arte austriaco, che anzi le fa diventare un vero e proprio metodo: la possibilità di servirsi dell'arte come strumento di conoscenza essenziale per cogliere le caratteristiche di un'epoca. Partendo da questo assunto, nel libro Perdita del centro (pubblicato in tedesco nel 1948 e in Italia prima da Borla nel 1967 poi da Rusconi nel 1974), i fenomeni artistici sono visti come sintomi della crisi che ha sconvolto l'Europa a partire dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione francese. Sulla scia dei grandi pensatori russi Solov'ev e Berdjaev, Sedlmayr è convinto che nella seconda metà del '700 abbia preso il via un profondo rivolgimento non solo politico e sociale, ma essenzialmente spirituale: l'immagine di Dio viene sempre più sfigurata e si attua quella disumanizzazione che sarebbe durata fino ai nostri tempi. Una visione che ha certamente la sua parte di verità ma che è dominata da un pessimismo radicale su tutto il processo della modernità.
Al di là di questo, il volume di Sedlmayr è fondamentale per capire alcuni aspetti del moderno e del postmoderno e vale la pena ripercorrerne lo sviluppo, quello di «uno spettacolo indicibilmente caotico che offre la pittura europea dei secoli diciannovesimo e ventesimo». A partire da Goya: le due serie dei Sogni e delle Follie, dominate dall'orribile e dal demoniaco, costituiscono una chiave decisiva per comprendere l'essenza dell'arte moderna. Se l'inferno era un tempo un luogo limitato all'aldilà, ora i suoi incubi diventano immanenti, «un pandemonio di spiriti immondi» che non sono solo una fantasia dell'artista ma una realtà che si può sperimentare. L'immagine più potente che esprime questa tendenza è quella di Cristo sul monte degli Ulivi, che fa parte dei Disastri della guerra e nel quale è raffigurato un uomo disperato in ginocchio davanti alle tenebre del Nulla. A sua volta, Caspar David Friedrich nelle sue opere rappresenta lo stato di abbandono totale dell'uomo, la sua solitudine estrema. Che dipinga la mortale rigidità del mondo dei ghiacci o navi e chiese in rovina, tutto diviene simbolo della nostalgia o del dolore per l'abbandono di Dio: «La croce da cui pende l'Uomo-Dio si erge nel silenzio indifferente della montagna».
Con le caricature di Daumier e Grandville l'uomo viene ancor più deformato e sfigurato. L'espressione dell'uomo si muta in una smorfia. Per arrivare a Cézanne, che rappresenta «il puro vedere», un mondo limitato all'esperienza che esclude per Sedlmayr ogni contenuto intellettuale o sentimentale. La strana calma vegetativa dei suoi quadri è in realtà una quiete priva di vita. Così l'arte di Seurat (l'uomo ridotto a manichino, marionetta, automa), di Matisse («la figura dell'uomo non avrà un'importanza maggiore che si dà a un disegno per carta da parati»), dei cubisti (l'uomo ridotto a un disegno costruttivo) e dei surrealisti («l'ultimo frettoloso passo verso lo sfacelo dell'arte»).
In questo suo affascinante tragitto, Sedlmayr è tutto preso dal suo assunto di «perdita del centro», la separazione del divino dall'umano che gli risulta inconcepibile, ma la sua posizione legata alla tradizione non gli impedisce di riconoscere lo splendore di quella che definisce arte luciferina e di cui vede i prodromi in Bosch e Brueghel. Non accetta però l'opinione di chi vede negli orientamenti moderni dell'arte una via che può condurre a nuove forme di arte spirituale. Il caos della nostra età espresso dall'arte contemporanea e la disperazione che egli denuncia sono pur sempre un anelito all'eternità.
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