venerdì 11 febbraio 2005
Miserere di me, che sono caduta a terra/ come una pietra di sogno./ Miserere di me, Signore, che sono un grumo di lacrime./ Miserere di me, che sono la tua pietà./ Mio figlio/ grande quanto il cielo./ Mio figlio, che dorme sulle mie gambe"/ Miserere della mia grandezza,/ miserere della mia stanchezza,/ miserere della misericordia di Dio. Oggi c'è una memoria mariana cara a una folla di cristiani, soprattutto a chi soffre nel corpo e nello spirito: è quella della Madonna di Lourdes. Abbiamo, allora, voluto evocare la figura della Madre di Cristo attraverso alcuni versi di una poetessa che ci è cara per la sua opera e per la sua amicizia e che è sempre più amata da tanti lettori. Abbiamo, infatti, citato un brano del Magnificat di Alda Merini, un canto dell'anima in cui la poetessa dà voce a Maria condividendone sentimenti, palpiti di fede e fremiti d'amore. Sui versi da noi citati si proietta l'ombra scura della croce che rende la Madre «un grumo di lacrime». Ma vorrei fissare l'attenzione solo su un verso di grande intensità e dolcezza: «Mio figlio, che dorme sulle mie gambe"». Due sono le scene che scorrono davanti a noi. La prima è quella di Maria che accoglie sulle sue gambe la testolina del ragazzo Gesù, in quell'atteggiamento che tutti abbiamo vissuto e che rispolveriamo, forse con pudore ma con sicura nostalgia, dall'archivio della memoria. L'altra immagine è quella classica della "Deposizione" o "Pietà" quando la Madre accoglie sulle sue gambe il corpo esangue del Figlio crocifisso. Il dolore s'intreccia con l'amore e si trasfigura. Forse oggi per un istante avremmo tutti bisogno di ritornare idealmente su quelle ginocchia per ricevere il tepore di una carezza che nessun altro può darci in quel modo.
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