Dobbiaco è per me indissolubilmente legato alla memoria di Sergio Corazzini, il poeta fanciullo della letteratura italiana, nato a Roma nel 1886 e qui morto di tubercolosi il 17 giugno del 1907, a soli ventun anni. Egli non visitò mai lo splendido paesino tirolese alla frontiera con l’Austria, ma vi ambientò una delle sue poesie più famose, intitolata proprio Toblack, il nome tedesco: «E giovinezze erranti per le vie / piene di un grande sole malinconico, / portoni semichiusi, davanzali / deserti, qualche piccola fontana / che piange un pianto eternamente uguale / al passare di ogni funerale…» In via Conti Künigl ai primi del Novecento c’era il sanatorio che ancora oggi viene ricordato come il lazzaretto, dove tanti giovani, dopo aver inutilmente cercato di scampare al “mal sottile”, perdevano la vita. Corazzini, secondo la perfetta intuizione di Stefano Jacomuzzi, uno dei suoi studiosi più autorevoli, mette in atto un processo di “inveramento e astrazione”, per cui Toblack, pur essendo un luogo reale, di riferimento, assume anche una dimensione metafisica universale. Guardo le cime dolomitiche circostanti, aspiro l’aria frizzante e penso a «tutte le defunte primavere, / gl’ideali mortali, i grandi pianti / de gli ignoti, le anime sognanti / che hanno sete, ma non sanno bere…».
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: