venerdì 9 gennaio 2015
Non sarà un anno facile, il 2015, già i suoi inizi spaventano. Ogni giorno ci viene ricordato dai media – in mezzo alla abituale frivolezza, – il grado di violenza a cui sono ormai ridotti i rapporti internazionali e quelli tra gli esseri umani, e, ancora più sconcertante e impressionante, tra le loro fedi. L’Italia sembra preservata, ma per quanto ancora?, dagli orrori più massicci e più gravi, ma è da struzzi non rendersi conto che anche qui, nelle disparità sociali, nel modo in cui trattiamo gli immigrati e trasmettiamo loro solo i nostri corrotti modelli, covano aggressività e violenza nell’assenza di risposte civili e di massa all’arroganza dei poteri, in primis, di quelli finanziari e dei loro delegati politici. Le notizie francesi sono solo le ultime, più impressionanti perché di un Paese che ci è vicino e ci è caro, a documentare uno scontro terribile e che è da sciocchi pensare che non sia duraturo e non possa riguardarci. Mi hanno colpito anche alcuni dati certamente secondari, per esempio che gli assassini abitassero a Gennevilliers, la banlieue parigina che tanti anni fa accoglieva la mia famiglia, e dove scoprii una forte e sotterranea solidarietà tra gli immigrati italiani, spagnoli, algerini con i proletari francesi di quella popolosa periferia nonostante si fosse in piena guerra d’Algeria, mi ha colpito che l’attacco riguardasse una rivista come “Charlie Hebdo”, e cioè il campo di una satira politica non all’acqua di rose come l’italiana, e mi hanno infine colpito i volti di due dei presunti killer. Perché sono volti simili a quelli di loro coetanei, italiani, francesi o altro, in una società ormai decisamente interetnica, in una mescolanza e vicinanza diffuse e ineluttabili. Non riesco a vedere in quei volti il segno del nemico. Ed è questo a impressionarmi di più. Ogni guerra, disse qualche saggio, è una guerra civile, e ogni scontro, ci ricorda la Bibbia, riproduce quello di Caino e Abele. Mentre nel mondo d’oggi sembrano fiacchissimi quelli tra i figli e i padri, e cioè, metaforicamente ma non troppo, di chi sta sotto con chi sta sopra e comanda e dirige, con chi ci manipola e ci impone la sua visione. È di convivenza civile (e in certi casi di disobbedienza) che i giovani avrebbero bisogno, e non di odio etnico e religioso.
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