martedì 24 maggio 2005
A Venezia si radunarono contro Cirillo vescovi, preti e monaci che dicevano: «Noi non conosciamo che tre lingue nelle quali è lecito lodare Dio: l'ebraico, il greco e il latino». Rispose Cirillo: «Io, invece, preferisco pronunciare cinque parole che esprimono ciò che penso in modo da istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila in una lingua a loro sconosciuta. Ogni lingua, infatti, deve poter confessare che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre».
Il calendario ortodosso russo celebra oggi la festa dei santi Cirillo e Metodio, i due evangelizzatori dei popoli slavi (la Chiesa cattolica li commemora, invece, il 14 febbraio). Dalla Vita di Cirillo, che era un monaco di Tessalonica, come il fratello Metodio, divenuto poi arcivescovo della Moldavia e della Pannonia, abbiamo desunto il racconto della scena decisiva nella quale egli difendeva, contro le accuse di innovazione sacrilega, l'introduzione dello slavo nella liturgia e nella predicazione per rendere trasparente il messaggio di Cristo a quelle popolazioni. Il tema dell'inculturazione, ossia dell'incarnazione del Vangelo nei diversi contesti socio-culturali, aveva già infiammato l'opera di san Paolo ed è ancora una delle urgenze dell'attuale cristianità. Certo, si tratta di un'operazione delicata, ma essa è assolutamente necessaria. E su tutti i cristiani incombe l'impegno di rendere visibile e leggibile l'annunzio e la testimonianza della loro fede in un orizzonte ormai secolarizzato ma pur sempre assetato di una parola che consoli e che inquieti, che illumini e che interroghi. Raccogliamo, allora, l'antico appello di san Pietro: «Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi; ma questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (I, 3, 15).
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