Le cicatrici e le domande del Pugilatore millenario
mercoledì 6 aprile 2022
Ogni volta che vengo a Roma in treno, quasi senza eccezioni, mi prendo mezz'ora ed entro al Museo Nazionale Romano, proprio lì a due passi dalla Stazione Termini. Vado a salutare un capolavoro di bronzo, attribuito a Lisippo: il "Pugilatore a riposo". Per me è una specie di sindrome di Stendhal: è un'opera straordinaria, che rappresenta una sorta di struggente sofferenza psichica, un delirio, un'allucinazione. La bellezza di un'opera d'arte, ci dicono le neuroscienze, può provocare tutte queste sensazioni. E chi ama lo sport (e l'arte) può vivere qualcosa di simile di fronte a quest'opera, dentro a Palazzo Massimo.
L'archeologo Rodolfo Lanciani scoprì questo bronzo nel 1855 nei pressi del Quirinale. Raccontò che il "Pugilatore" fu ritrovato seduto su un capitello dorico di pietra, in una cavità aperta nelle fondazioni e poi riempita con fine terra setacciata, in modo da preservarne la superficie da eventuali danni. «Non ho mai provato – disse Lanciani – un'impressione straordinaria simile a quella creata dalla vista di questo magnifico esemplare di un atleta semi-barbaro, uscente lentamente dal terreno come se si svegliasse da un lungo sonno dopo i suoi valorosi combattimenti».
Il pugilato è una disciplina presente ai Giochi Olimpici fin dall'antichità. Espressione di forza, di resistenza. Tutti caratteri abbinati quasi automaticamente a espressioni di mascolinità, di virilità. «La boxe: tanti bianchi che guardano due neri picchiarsi tra di loro», diceva Mohammed Alì. Quest'opera, in tempi così bellicosi, ha molto da dire. Il Pugilatore era, come da oltre 2.500 anni, lì seduto, con le braccia abbandonate sulle gambe, con i segni dei colpi sul viso, le cicatrici, il sangue riprodotto con il rame, il naso e la mandibola rotti, le orecchie gonfie per la quantità di botte subìte. Eppure quel suo guardare in alto, a destra, fuori dall'unica finestra che si affaccia sulla sua sala, sembrava oggi più enigmatico e struggente del solito. Chissà che cosa penserebbe di noi umani questo atleta. Noi, due millenni e mezzo dopo, ancora capaci di atrocità ed efferatezze con così pochi precedenti. Capaci di generare tanto dolore, e senza senso.
Oggi il "Pugilatore a riposo" sembrava guardare me in modo interrogativo, chiedendomi: "Come è ancora possibile?". Sembrava chiedermi come possano ancora esistere, dopo secoli di violenza, massacri come quelli di Bucha o di Mariupol. Oggi sembrava interrogarmi e cercare quella voce che cerca da millenni: non la voce del suo allenatore che lo invita a rialzarsi e a preparare il combattimento successivo, ma la voce di qualcuno a cui chiedere: "Non avete ancora imparato niente?". Tanto l'arte quanto lo sport dovrebbero regalarci momenti di catarsi e darci una mano a interpretare la complessità della realtà. Ogni volta che vado a trovare il "mio" pugilatore, infatti, ne esco in qualche modo più sereno e consapevole. Oggi, però, mi è sembrato di dare fastidio, lì in rappresentanza di un genere, quello umano, di cui vergognarsi e basta.
Oggi è stato quasi come se, andandomene, abbia percepito un sospiro di sollievo. Il suo.
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