giovedì 25 giugno 2009
XIII domenica Tempo ordinario
Anno B

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male (...)

Il Vangelo racconta di due donne guarite, una potenza che esce da Gesù, una mano che ti prende per mano. Per riportare nel mondo la speranza promessa dalla prima lettura: le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c'è veleno di morte (Sap 1, 13-15).
Nel breve tragitto tra la sponda del lago e la casa di Giàiro è come se Gesù fosse ancora sulla barca in balìa della burrasca, assediato da una folla che porta il veleno della malattia e della morte. Dalla tempesta sul lago alla tempesta della vita: la gente che preme, il vento della disperazione, le onde della sofferenza. Il cuore, sorretto dalla parola di Dio, dice vita, l'esperienza risponde morte.
Eppure nelle creature del mondo c'è salvezza: germoglio che deve ancora fiorire, seme da cui germoglierà l'albero grande. Riprendiamo a sillabare lo stupore dell'esistenza: tu, mio familiare, mio amico; tu, fratello sconosciuto, tu porti salvezza. Dio ti ha fatto buono e sano, senza radice di veleno:
tu doni salute all'anima. Davanti a te Dio ha gridato: «Come sei bello, figlio mio!».
«Figlia mia» dirà Gesù alla donna guarita, con una parola dolcissima. Adesso sì sei figlia, ora sì guarita e libera, ora che il cuore impaurito di felicità ode Dio che ti chiama per specchiarsi nei tuoi occhi. Ora a tua volta darai salute.
Il racconto per due volte parla di fede. Quella della donna è quasi superstizione, quella di Giàiro è fede sopraffatta d'amore per la figlia.
Forse poca cosa, eppure a Dio basta. E noi dovremmo, come Gesù, godere di ogni segno minimo di fede, di ogni appartenenza parziale, essere amici della fede a frammenti di ogni creatura. Fragile fede, che per questo ha ancora più bisogno di Lui.
Ciascuno di noi è quella fanciulla di dodici anni nella casa del pianto. Ciascuno ha qualcosa di morto dentro, per ciascuno Gesù ripete: «Talità kum!», giovane vita, alzati! Riprendi la gioia, la lotta, la scoperta, l'amore.
La fanciulla che dorme è la speranza, virtù bambina che occorre svegliare ogni giorno, farla alzare, rimettere in cammino. Gesù dice: «Àlzati», verbo di ogni nostro mattino, quando ogni giorno è come il giorno di Pasqua. Là dove l'uomo si è fermato, Dio fa ripartire, ridà bellezza a ciò che è appassito, verticalità a ciò che è stanco.
Su ogni creatura, su ogni fiore, su ogni uomo scende la benedizione delle antiche parole: tu sei portatore di salvezza! «Talità kum»: alzati, rivivi, risplendi!
(Letture: Sapienza 1,13-15; 2,23-24; Salmo 29; 2 Corinzi 8,7.9.13-15; Marco 5,21-43)
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