venerdì 17 dicembre 2004
La sottigliezza non abbandona mai gli uomini di spirito, specialmente quando essi sono nel torto. Credo sia capitato a tutti di imbattersi in persone capziose e cavillose: sono pronti a sfidare il ridicolo pur di dimostrare (a loro modo) di non aver torto. È ciò che osserva il grande Goethe in una delle sue Massime e riflessioni: più costoro sono nel torto, più mobilitano la loro intelligenza per arzigogolare fino a deprimere l'interlocutore che, stremato, lascia perdere. Questa considerazione ci permette di esaltare l'atteggiamento opposto, quello della schiettezza, della franchezza, della sincerità. Lapidario è il monito di Cristo: «Sia il vostro parlare: sì, sì; no, no! Il di più viene dal maligno» (Matteo 5, 37). Questa trasparenza, certo, si deve contemperare con la prudenza, tant'è vero che è ancora Gesù a suggerire: «Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Matteo 10, 16). In una società artificiosa e perfino artefatta com'è la nostra, è comunque importante riscoprire la virtù della semplicità (che non è semplicioneria), della schiettezza (che non è ingenuità), della franchezza (che non è dabbenaggine), della spontaneità (che non è infantilismo). Proprio tutte queste parentesi che abbiamo messo accanto alla virtù che stiamo esaltando ci fanno capire quanto sia difficile stare sul crinale dell'autentica sincerità che non è candore ingenuo. Tutto milita nel mondo attuale delle apparenze e dell'inganno contro questa virtù: «un po' di sincerità - sosteneva lo scrittore Oscar Wilde - è una cosa pericolosa; molta sincerità è assolutamente fatale». Ma, pur coi limiti sopra indicati, è un rischio che deve essere corso da chi vuole avere una coscienza pulita e serena.
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