giovedì 4 marzo 2004
Ho chiesto a Dio forza per trionfare. Egli mi ha dato fiacchezza, perché apprenda a ubbidire con umiltà. Avevo chiesto salute per realizzare grandi imprese. Mi ha dato infermità, perché faccia cose semplici. Ho desiderato la ricchezza per ottenere prosperità. Mi ha dato povertà, perché acquistassi saggezza. Ho desiderato il potere per essere apprezzato dagli uomini. Mi ha concesso debolezza, perché desiderassi solo lui. Ho chiesto un compagno per non vivere solo. Mi ha dato un cuore, perché fossi capace di amare tutti i fratelli. Una lettrice mi ha inviato queste righe dicendomi di averle ricevute da una suora di una comunità ispanica di New York che le aveva trascritte da un pannello di un istituto di riabilitazione. A quanto sapevo, erano le parole di un atleta costretto da una malattia su una carrozzina, parole che non hanno bisogno di commento. Vorrei solo aggiungere una piccola nota sulla riabilitazione. Qualche mese fa sono stato in visita all'ospedale dei Fatebenefratelli di S. Maurizio Canavese (Torino), uno straordinario luogo di serenità e di coraggio nonostante la folla di ospiti colpiti da malattie di vario genere. La riabilitazione, certo, è anche fisica, passa attraverso la paziente e spesso limitata ricostruzione di questa architettura mirabile e delicata che è il corpo. Ma essa è soprattutto riedificazione dell'anima, della speranza, della preziosità di ogni vita e di ogni persona che è sempre una gloriosa sede della presenza di Dio. Per questo abbiamo tutti bisogno di essere riabilitati nello spirito. Concludeva quel testo che sopra citavo: «Non ho niente di quello che ho chiesto a Dio; però ho ricevuto tutto ciò che avevo sperato».
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