domenica 27 maggio 2007
Dio è tutta la nostra gioia, e in lui la nostra polvere può diventare splendore. Indimenticabile è la scena "dipinta" più che descritta da Ezechiele nel c. 37 del suo libro: su quella valle lastricata di scheletri, di ossa secche e di polvere passa il soffio dello Spirito divino; ed ecco uno stridio e un fremito di ossa che si ricollegano, di carni che rifioriscono, di vita che torna a pulsare. È ormai la morte che è trasformata in vita. Oppure pensiamo alla promessa di Isaia: «Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere perché la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre» (26, 19). Sulla scia di queste parole profetiche, nel giorno di Pentecoste, quando lo Spirito di Dio soffia col vento del deserto nelle stanze chiuse dalla nostra paura, generando vita, forza e speranza, abbiamo posto a motto una frase desunta dal Segno di Giona, opera dello scrittore spirituale americano Thomas Merton (1915-1968). A inviarmela sono state le Clarisse di un monastero, donne che conoscono e assaporano la verità di quella frase. In essa io porrei l'accento proprio su quella metamorfosi a prima vista impossibile: come può la polvere diventare luce? E invece tutti coloro che sanno veramente cosa siano la fede e l'amore, perché li hanno accolti e vissuti, ne sono certi. Le azioni più "impolverate" perché quotidiane e modeste si trasfigurano, quando si ama e si ha qualcuno (e Qualcuno) a cui donarle. Preparare il cibo alla sua famiglia per una madre e trascorrere la giornata in un lavoro usurante per un padre possono essere atti "splendidi", quando c'è uno scopo d'amore, quando c'è lo Spirito che respira nelle loro anime.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: