La pazza gioia di Mourinho e le lacrime di Djokovic
martedì 14 settembre 2021
La passione è tutto, nella vita come nel calcio. E «se sai solo di calcio, non sai nulla», parola di José Mourinho. Messaggio che rilanciamo a tutti gli studenti d'Italia appena rientrati a scuola in presenza, e in particolare a Pippo (non è Inzaghi, capolista in B con il Brescia) che al primo giorno si presenta in classe con la tuta sportiva per affrontare non l'anno scolastico, bensì quella che definisce «la sua prima stagione dopo il Covid». Come fosse il campionato, già. Quindi, calcio magister vitae? Può darsi. Torniamo a Mourinho e alla fuga per la vittoria al gol del 2-1 della sua Roma contro il pimpantissimo Sassuolo di Dionisi che «attacca da 9 e difende da 4», Eraldo Pecci docet dallo scranno della Domenica Sportiva (Rai 2, grazie alla conduzione di Jacopo Volpi l'unica trasmissione di approfondimento che si fa seguire). Restiamo ammirati dinanzi all'entusiasmo del 58enne “Specialone” portoghese che giunto alla sua panchina n.1000 mostra ancora lo stesso entusiasmo verace della prima vittoria in carriera. Il gol di El Shaarawy, al 91', l'ha fatto schizzare dalla pazza gioia fin sotto la Curva Sud. Una corsa propiziatoria che, per tradizione romanista, va da Bruno Conti fino a Totti e arriva al Faraone giallorosso che l'ha trasmessa al Mago di Setubal. Un raptus grintoso quanto quello del suo antico predecessore, il tribuno romano de Trastevere Carletto Mazzone che uno scatto del genere ce l'ebbe, ma di rabbia, a Brescia, quando gli atalantini gli insultavano la madre defunta. Ritorno all'infanzia. «È stata la corsa di un bambino», ha detto un candido Mourinho. Immagini che riconciliano con uno sport troppo spesso svilito, da tutto, pandemia compresa. Affinché lo spettacolo prosegua lo ha detto anche Zeman al Manifesto (intervista su “Alias” di Pasquale Coccia) serve l'applauso della gente, il calore del pubblico e anche il sano sfottò dei tifosi da Curva, a patto che resti confinato negli steccati della civiltà. E poi servono i campioni. Basta anche un vecchio Zlatan Ibrahimovic con un codino da Tempo dei gitani per illuminare San Siro e mandare ko la Lazio più Immobile dell'ultimo lustro. Zlatan il terribile a 40 anni – li compie il prossimo 3 ottobre – , pieno di acciacchi che maschera con lo sguardo della tigre, ormai entra in campo come Sylvester Stallone sale sul ring del set di Rocky VIII. Ibra sembra uno di quei supereroi del wrestling, infatti persino i bambini si emozionano alla vista dello zio Zlatan, duro con gli adulti e tenerone con i più piccoli. E se va in gol, piattone a porta vuota alla Lazio dello scrivano Sarri (ha preso più appunti lui in 90 minuti che Gianni Brera in una vita in tribuna stampa al Meazza), anche la nonna rossonera grida al miracolo. Potenza del fattore “ic” nel cognome dei talentuosi del calcio, come voleva Gianni Mura. E lo stesso vale anche per il tennis dove Nole Djokovic era e rimane il numero 1 anche nella sconfitta. Agli Us Open Djokovic si arrende a Medvedev che nella finale ha fermato tutto. Tutto, tranne il pianto umano di Nole che ha perso la grande occasione del Grande Slam, ma ha finalmente conquistato l'affetto e la simpatia dei tifosi di Flushing Meadows.
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