mercoledì 19 aprile 2006
La poesia è l'unica arte in cui la mediocrità è imperdonabile. Lui, sì, era stato un grande (ancorché discusso) poeta e quindi poteva permettersi di formulare questa legge sacrosanta che vorrei meditassero tutti quelli che si accingono a scrivere "poesie di getto", convinti di avere dentro di sé il sacro fuoco dell'ispirazione. La frase è di Ezra Pound, nato nel 1885 negli Stati Uniti e morto a Venezia nel 1972. Ma lasciamo in pace i poeti mediocri che, certo, non si scoraggeranno per questo monito e puntiamo la nostra attenzione su questo difetto dell'anima, la mediocrità appunto. Intendiamoci bene: c'è stato un grande poeta come Orazio che ha esaltato nelle sue Odi (II, 10, 5) la famosa aurea mediocritas, la quale però era ben altro, ossia la ricerca di un ideale giusto mezzo tra gli estremi e gli eccessi. No, quella che ci deve insospettire, invece, è la mediocrità che significa inettitudine, piattezza, pigrizia, anonimato, grigiore. Ai nostri giorni questo atteggiamento è stato assunto a stile di vita: quanti comportamenti sono ormai superficiali, insignificanti, dozzinali. «Mediocre» in questo senso non è certamente la ricerca del mezzo e dell'equilibrio; è invece il ricorso al minimo, al disimpegno, alla trasandatezza ostentata. Questa mediocrità, infatti, non si vergogna di se stessa, anzi, si ostenta e si contrabbanda come vera tranquillità dell'anima, quando in realtà è incoscienza, si spaccia come criterio giusto mentre è solo comodità propria, si presenta come rifiuto degli eccessi quando è in verità vuoto interiore. Il cristianesimo non è una religione per mediocri, come la vera arte e l'umanità autentica non possono alimentarsi e vivere di una piattezza senza fremiti, di una sazietà di cose, di un buon senso banale.
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