giovedì 11 giugno 2009
Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Anno B

Il primo giorno degli Àzzimi (...) mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

Le letture bibliche di oggi sono attraversate, come un filo rosso, da una parola che riassume il senso della festa del Corpo e sangue del Signore: «alleanza», legame, nodo che unisce ciò che era disperso, comunione.
Ad ogni Eucaristia, ad ogni comunione, per un istante almeno, mi affaccio sull'enormità di ciò che mi sta accadendo: Dio che mi cerca. Dio in cammino verso di me. Dio che è arrivato. Che assedia i dubbi del cuore. Che entra. Che trova casa. Dio in me. Neanche Dio può stare solo. Faccio la Comunione, sono colmo di Dio, ogni volta fatico a trovare parole, finisco per dedicargli il silenzio. E quello che mi pare incredibile è che Dio faccia un patto di sangue proprio con me, che io gli vada bene così come sono, un intreccio di ombre e di paure. Non ho doni da offrire, sono solo un uomo con la sua storia accidentata, che ha bisogno di cure, con molti deserti e qualche oasi. Ma io non devo fare altro che accoglierlo, dire «sì» alla comunione, che è il suo progetto, il suo lavoro dall'eternità.
«Ecco il mio corpo», ha detto, e non, come ci saremmo aspettati: «ecco la mia mente, la mia volontà, la mia divinità, ecco il meglio di me», ma semplicemente, poveramente, il corpo. Il sublime dentro il dimesso, lo splendore dentro l'argilla, il forte dentro il debole. Il Signore non ci ha portato solo la salvezza, ma la redenzione, che è molto di più. Salvezza è tirar fuori qualcuno dalle acque che lo sommergono, redenzione è trasformare la debolezza in forza, la maledizione in benedizione, il tradimento di Pietro in atto d'amore, il pianto in danza, la veste di lutto in abito di gioia, la carne in casa di Dio.
Nel suo corpo Gesù ci dà tutto ciò che unisce una persona alle altre: parola, sguardo, gesto, ascolto, cuore. Nel suo corpo ci dà tutta una storia: mangiatoia, strade, lago, il peso e il duro della croce, sepolcro vuoto; ci dà Dio che si fa uomo in ogni uomo. Quando Gesù ci dà il suo Sangue, ci dà fedeltà fino all'estremo, il rosso della passione, il centro che pulsa fino ai margini, vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo e perenne della sua vita, che nel nostro cuore metta radici il suo coraggio, e quel miracolo che è il dono di sé.
Neppure il suo corpo ha tenuto per sé, neppure il suo sangue ha conservato: legge suprema dell'esistenza è il dono di sé, unico modo perché la storia sia, e sia amica. Norma di vita è dedicare la vita. Così va il mondo di Dio.
(Letture: Esodo 24,3-8; Salmo 115; Ebrei 9, 11-15; Marco 14, 12-16. 22-26)
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