venerdì 4 agosto 2006
Il maestro era totalmente indifferente al giudizio degli altri. I discepoli gli chiesero come avesse raggiunto questo grado di libertà. Egli rispose: «Fino a 20 anni non mi importava di cosa la gente pensasse di me. Dopo i 20 anni mi preoccupavo disperatamente di cosa pensasse di me. Dopo i 50 anni capii che in realtà la gente non pensava minimamente a me». Fa sempre bene ogni tanto risalire alle antiche sapienze popolari, ai loro proverbi e parabole. È il caso di questo apologo desunto dall'orizzonte variegato delle tradizioni orientali di matrice o araba o indiana. La verità, nella sua semplicità, coglie nel segno e colpisce quel sottile (o grossolano) senso di orgoglio e di importanza che ognuno si trascina con sé. Come si fa a non lasciarsi prendere da un moto di vanagloria se per caso ti riconoscono perché sei noto per qualcosa? È un bel massaggio al proprio Ego che si leva solenne e ringalluzzito. Forte, allora, è la tentazione di sentirsi, se non proprio al centro, almeno ai bordi dell'interesse altrui. Ed ecco, allora, quel sussiego così patetico che va incontro, ahimè in modo ingenuo, alla doccia fredda. Presto, infatti, è in agguato la smentita: pensiamo, ad esempio, cosa è toccato ai veri grandi del passato che spesso sono ricordati soltanto da svogliati alunni sulle pagine noiose dei testi scolastici. Preoccupiamoci un po' meno della fama, del successo, del consenso. Il sapiente cinese Confucio nel VI-V sec. a.C. ammoniva: «Non preoccuparti del fatto che la gente non ti conosce. Preoccupati piuttosto del fatto che forse non meriti di essere conosciuto" Il vero uomo soffre se è incompetente, non se è misconosciuto».
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