giovedì 15 marzo 2007
Il carrierista difficilmente arriverà in cima; è troppo occupato a non far salire chi sta in basso.Molti forse hanno sul tavolo di lavoro una di quelle agende che hanno per ogni giorno, oltre alla data e al santo, anche una breve frase. Farò contento uno scrittore e giornalista che tiene una rubrica quotidiana proprio nel retro di questa pagina del nostro giornale, Dino Basili, dicendogli che oggi propongo proprio una sua battuta trovata su un"agenda, anche se in altra data. La sua è una considerazione ironica ma incontrovertibile. Ho visto anch"io non pochi smaniare per una promozione: per far carriera si è pronti a tutto, a lodare falsamente, a cambiare idea, a consumarsi la vita nella tensione. Spesso, però, l"incubo peggiore non è il tuo fallimento ma il successo del tuo collega che tu ritieni meno dotato e meno degno di te.In questo ha, dunque, ragione Basili: non si dilapidano solo energie per raggiungere il successo ambito ma anche nel demolire gli altri che vi aspirano. Il carrierismo, l"arrivismo, l"ambizione sfrenata sono, comunque, un morbo che alligna in ogni ambiente, anche in quelli ecclesiastici, e rende infelici molti, smaniosi tanti e soddisfatti pochi. Bisognerebbe forse ricordare il famoso e ironico «Principio di Peter» (dal nome del giornalista americano che l"ha coniato): «Nella carriera ognuno sale e sale finché raggiunge il suo livello di incompetenza». Ma ben più serio è il principio di Gesù, quello di mettersi all"ultimo posto perché sia il Signore a dirti: «Amico, passa più avanti!... Perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Luca 14, 8-11).
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